War Scars – Ferite di Guerra
intro: Perchè questo articolo? E perchè parliamo nuovamente di Bosnia?
Il Mediterraneo è infiammato da un’ondata di rivoluzioni dal basso, nella quali la gente urla e lotta per la propria libertà e per la democrazia. Alle porte di casa nostra, la Libia è tormentata da una sanguinosa guerra civile e ci vorranno anni per sanare le fratture interne e i danni (non solo, purtroppo, fisici). Ed ecco che è importante ricordare che dietro un altro dei tanti “angoli” d’Europa, ci sono ancora delle ferite non rimarginate. Non guarite. Abbiamo avuto la guerra civile praticamente in casa fino a…ieri… Ma oggi sembra quasi un conflitto lontano, “oltre le montagne”, dall’altra parte del mare (come se l’Adriatico non fosse poco più grande di un lago…).
Fa bene ricordare. Non per imparare (purtroppo l’uomo pare avere questa innata incapacità di apprendimento dai propri errori). Ma almeno per mantenere un po’ di sana indignazione.
Antonio Amendola
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(english below)
War Scars in Bosnia Herzegovina
(testo e foto: Giuliano Camarda)
Le ferite di una guerra non sono facili a guarire. Ciò vale per gli uomini quanto per le cose.
Nella Bosnia-Erzegovina i segni del conflitto sono ancora nelle strade, nelle case e negli occhi della gente, pronti a ricordare quanto sia lento e faticoso il ritorno alla pace.
Il 21 novembre del 1995, tre firme mettevano fine alla guerra nell’ex Jugoslavia stipulando l’Accordo di Dayton, che chiudeva formalmente le ostilità della guerra civile.
A 15 anni dalla fine del conflitto, il sogno di un paese unificato è ancora lontano, e le promesse dell’Accordo non sono state rispettate. I profughi di guerra, cui era stata assicurato il diritto ad una casa, sono ancora costretti a vivere in containers o edifici semidistrutti. La città di Srebrenica, tristemente famosa per il massacro degli oltre 8.000 civili bosniaci ad opera delle truppe del generale Mladić, è uno dei luoghi dove si possono vedere e sentire più drammaticamente le conseguenze della guerra.
Il campo profughi di “Baratova” ed il fatiscente Hotel Domavia al centro della città sono solo alcuni dei numerosi luoghi che ospitano i rifugiati di una guerra che ormai dovrebbe essere solo un brutto ricordo.
Nel frattempo l’ICMP (International Commission on Missing Persons) continua il suo lavoro per ritrovare ed identificare le persone tuttora scomparse. A Tuzla, un centinaio di chilometri da Sarajevo, si trovano i laboratori dove vengono conservati, studiati e catalogati i resti ossei e gli oggetti personali delle vittime rinvenute nelle fosse comuni.
Ad oggi le persone scomparse durante gli anni della guerra risultano essere circa 10.000.
A Kakanj, città industriale a pochi chilometri da Sarajevo, c’è una delle miniere di carbone più grandi della Bosnia Erzegovina. A scavare non sono solo gli operai della compagnia, ma anche centinaia di minatori clandestini che pagano gli uomini della sicurezza per chiudere un occhio.
Uomini, donne e ragazzini dai 13 anni in su si caricano sulle spalle sacchi di 50 chili di carbone per rivenderli al mercato nero per 2 euro a sacco. I giovani lo fanno perché dopo il diploma non c’è lavoro, i padri perché dopo la guerra hanno perso il loro.
Non conviene a nessuno fermare il via vai degli illegali. Non conviene a chi si intasca il “pizzo” ma nemmeno allo Stato, perché fin quando i clandestini continueranno a scavare non si dovrà preoccupare di trovargli un lavoro.
Questo lavoro vuole mostrare alcuni aspetti di un paese che, a 15 anni dalla fine della guerra, deve ancora fare i conti con il passato. Le speranze dei giovani sono quelle di entrare un giorno a far parte dell’Unione europea, ma la pace sembra ancora fragile e le figure politiche non sembrano disposte a rinunciare al loro potere per uno stato forte ed unito.
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War Scars in Bosnia Herzegovina
(text and photos: Giuliano Camarda)
War scars are not easy to heal. This is true for men as for things.
In Bosnia-Herzegovina, signs of conflict are still in the streets, in the houses and in people’s eyes, ready to remind how slow and difficult is returning to peace.
Thank you Giuliano for this very interesting story and beautiful photos