S4C, Witness Journal, the Earthquake in Abruzzo and the importance of having been there…

Witness Journal is one of the coolest photojournalism magazines around and several of S4C photographers frequently publish articles on it (and myself, too).

Lately, an interesting WJ special on the terrible Abruzzo Earthquake hit the news.

Witness Journal Special issue on Abruzzo Earthquake

Witness Journal Special issue on Abruzzo Earthquake

here it is. Have a look. Altough several months already passed by…it’s good to remember what happened and what is likely to happen again to our weak Country.  Yes, Italy (and its amazing cultural heritage) is weak and exposed to a trembling Nature.

Antonio/S4C

(for your information, S4C photographers who contributed to WJ Special are Manuela Cigliutti, Nicola Sacco and myself, Antonio Amendola)

photo: Amendola/S4C

photo: Amendola/S4C




There are 6 comments

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  1. Gianfranco Rotondo

    Toccanti, quanto mi rode non essere riuscio ad andarci con i vigili del fuoco…
    Sei davvero bravo Antonio!

  2. antonio/s4c

    Grazie, bravi loro. Ma in effetti, c’e’ poco da essere bravi quando si osservano queste cose…
    E,sai una cosa, e qui credo che anche gli altri saranno d’accordo, li’ ho imparato una grande lezione…. ovvero che e’ piu’ difficile saper abbassare l’obiettivo piuttosto premere il dito ed invadere il dolore altrui.

    Ci sono momenti in cui la macchina fotografica deve rimanere appesa al collo

  3. Gianfranco Rotondo

    in questi casi si dice “posso immaginare”, ma penso che cose del genere se non le vivi non puoi neanche lontanamente immaginarle…

  4. anna d'elia

    PER NON DIMENTICARE
    (Riporto qui un mio testo, redatto il 26 aprile 2009)

    Ho girato scortata dai vigili del fuoco nel centro deserto di L’Aquila. E’ domenica 26 aprile, sono trascorsi 20 giorni dal sisma.

    Possiedo un’idea della guerra soltanto cinematografica, eppure la sensazione che mi insegue è quella di un paese bombardato. Ai posti di blocco gli alpini ti invitano a chiedere un’autorizzazione all’accesso.
    In città soltanto i vigili del fuoco – muniti di caschi e sensibilità – si muovono con circospezione; per le strade vuote circolano esclusivamente mezzi di soccorso; ci sono le gru, altissime e costose, ma non è tutto un frenetico lavoro di rimozione.
    Ciò che qui ti assorda è un profondissimo, sconcertante silenzio.

    La vita si è fermata. Panni ancora stesi alle finestre testimoniano esistenze normali, sostanziate di piccoli gesti di ordinaria quotidianità. Il cartellone del cinema propone immobile Gli amici del bar Margherita.

    Tra le macerie intravedo le mille piccole insignificanti eppur imprescindibili cose che riempiono le case, i cassetti, i pensieri di ogni uomo ed ogni donna comune sotto il sole: una fotografia, un orsacchiotto, un libro di quelli che coloravamo da bambini per imparare i nomi degli animali.
    Beni culturali preziosi, la cui rimozione e protezione postula un impegno di coordinamento laborioso tra gli ingegneri e i sovrintendenti.
    Nell’archivio della Prefettura si conservavano gli atti del processo del Vajont, che per questa strana beffa del destino ora scompaiono sotto un polveroso cumulo di macerie.

    E accanto a tutto questo vedo il ferro, liscio e arrugginito dei pilastri crollati. Le automobili schiacciate. Le persiane pencolanti su balconi sprofondati. Lo squarcio nel muro di una chiesa moderna ed il suo tabernacolo scoperto sotto una croce. I cumuli di mattoni sbriciolati sugli abitanti, che a quelle mura avevano affidato la protezione di figli, sogni e innumerevoli piccole cianfrusaglie che compongono una vita.
    Provo uno sgomento senza parole davanti alla casa dello studente.

    Sui tavoli del centro operativo, dove è in atto un difficile coordinamento tra le varie autorità, scorgo un doloroso elenco, dal titolo: Deceduti.

    Giro nelle tendopoli, paradigma di solidarietà e rassegnazione.
    I giovani provano a sentirsi impegnati nel lavoro volontario presso la segreteria della Protezione civile. Finite le serate a tirar tardi nella piazza, i sogni e le fatiche dei ragazzi universitari.

    Niente qui è e sarà mai più come prima. Un urlo muto parte da qui e questo silenzio irreale è ancor più sconvolgente di qualsiasi parola.
    Dovremmo provare tutti un terremoto dell’anima.

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