Quel che rimane del lago Aral

Da Wikipedia:

L’Aral (in russo Aralskoje More, Аральскοе мοре; in kazako Арал Теңізі) è un lago salato di origine oceanica, situato alla frontiera tra l’Uzbekistan (nel territorio della repubblica autonoma del Karakalpakstan) e il Kazakistan. Erroneamente è chiamato mare d’Aral, poiché possiede due immissari (Amu Darya e Syr Darya) ma non ha emissari che lo colleghino all’oceano; è infatti un bacino endoreico.

Il nome deriva dal chirghiso “Aral Denghiz”, che significa “mare delle isole”, a causa delle numerose isole che erano presenti nei pressi della costa orientale.

Geograficamente si pone ad est dell’altipiano dell’Ust-Urt che lo separa dal Mar Caspio. In origine il lago faceva parte di un vasto oceano che comprendeva anche il Mediterraneo ed il Mar Nero e che, ritirandosi, ha generato, oltre all’Aral, anche il Mar Caspio. Ne sono testimoni le numerose conchiglie fossili di cui è disseminato il deserto del Karakum, che si trova a sud.

Il lago ha sempre mostrato importanti variazioni nel suo livello in tempi storici ma con periodi del tutto non compatibili con quelli del ciclo di Brückner, ovvero 35 anni. Proprio in tempi recenti, sul fondo prosciugato del lago sono riapparsi i resti, risalenti al XIIIXIV secolo, di un’antica città[1]. È da considerarsi errata l’idea che in tempi storici il lago sia scomparso e riapparso più volte. Le variazioni di cui si ha certezza sono quelle che lo hanno visto diminuire fino all’anno 1880. Da quel momento fino al 1908 si era osservato un innalzamento della superficie di circa 3 metri, nonostante fossero già stati avviati, seppur in piccola scala, i lavori di deviazione dei due immissari. Accertato invece è che nell’antichità avesse un emissario che portava le sue acque fino al mar Caspio e che fungeva da via navigabile collegata alla “via della seta“.

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Quel che rimane del lago Aral

(Giovanni Baldini)

Fin dagli anni ’20 l’Unione Sovietica decise di destinare le terre nei dintorni del lago Aral (in Uzbekistan) alla coltivazione del cotone, la qual cosa necessita di molta acqua.

Quando si passò alla coltivazione intensiva l’acqua dei due maggiori affluenti del lago venne usata quasi totalmente a questo scopo. Alla fine degli anni 2000 il lago era ridotto al 10% della superficie originaria.

Il lago era pesantemente inquinato per l’uso folle di pesticidi e fertilizzanti per il cotone. L’isola centrale (che ora non è più un’isola) ospitava un centro militare per la sperimentazione di armi chimiche e batteriologiche,  gli “avanzi” venivano buttati in acqua.

La sabbia sul letto del lago è finissima, impalpabile, sembra di camminare sulla cenere. È questa sabbia a contenere gli agenti tossici, oltre al fatto di essere fortemente mineralizzata, perché il lago di Aral era ed è un lago salato.

Basta un colpo di vento e la sabbia vola lontano. Se ne trovano abbondanti tracce anche sui ghiacciai dell’Himalaya.

Essendo circondato da steppe e deserti quelle che prima erano semplici tempeste di sabbia ora sono diventate sferzanti tempeste di sabbia e
sale, tossiche. Il clima pesantemente continentale era mitigato da quella gran massa d’acqua.

Adesso le estati sono invivibili, come gli inverni.

Sonostato lì poco più di 10 giorni. Nei primi giorni di marzo la temperatura massima era ben sotto lo zero; quando sono partito stava
per toccare i +20°C. Ed è sempre stato bel tempo.

Il lago adesso è una pozza priva di vita e velenosa.

Dal punto di vista delle popolazioni locali le conseguenze sono disastrose: decine di migliaia di persone vivevano di pesca e
itticoltura, un quinto della produzione dell’URSS, tutto perduto.
L’agricoltura ne risente pesantemente visto che il vento stende la polvere salata per centinaia e centinaia di chilometri. L’allevamento del topo muschiato (simile ad un castoro) per la pelliccia è del tutto esaurito.

La polvere tossica ha reso comunissimi problemi ai reni, agli occhi e al fegato. L’incidenza di tubercolosi è altissima. E poi problemi polmonari di ogni genere, cancro, anemia, problemi digestivi.

Via via che il lago si è ritirato hanno fatto sondaggi geologici ed hanno trovato petrolio e gas naturale; sono nati dei piccoli villaggi attorno ai pozzi. Visitarli non è facile, ma sembravano  luoghi di disperazione.

Ci tornerò.

Giovanni Baldini




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