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Professione rifugiato / Occupation: Refugee

[please find infos in english and french in the video below]

Conosco Annamaria Bruni da tempo, ormai. Abbiamo pubblicato alcune sue storie, seguendola in Medio Oriente con il suo progetto sui rifugiati di guerra (dal Libano a Gaza).

Adesso Annamaria ha bisogno di una mano per proseguire. Il crowd funding è un sistema moderno e interessante per sostenere progetti del genere. In fondo si tratta di dare, in tanti, un piccolo aiuto per scoprire e raccontare storie sganciando l’autore da logiche di committenza editoriale.

Bene, guardate il video e leggete la storia del suo progetto. E se vi piace, aiutatela anche voi. Sarà come raccontarla tutti insieme.

Antonio Amendola

 

Occupation: Refugee from annamaria on Vimeo.

Credo che il mio interesse e la mia passione per i rifugiati derivi da un’immagine.
Nell’anno 1985 il National Geographic pubblicò in copertina una foto del fotografo americano Steve Mc Curry. La foto ritraeva una piccola bambina afghana scappata dalla guerra e rifugiatasi in Pakistan nel campo profughi di Peshawar.
L’espressione del suo viso, con i suoi occhi di ghiaccio, resero ben presto l’immagine celebre in tutto il mondo, svelando la tristezza della condizione dei profughi in generale.
Quella foto è impressa nella mia mente da allora.
Cosa significa perdere tutto? Come si può sopportare questo peso e come si può l’accettare l’idea di vivere in esilio ?
Raccogliere le loro storie e fotografarli ha significato non dimenticare quella bambina e i suoi occhi.

L’empatia per una condizione umana alla quale tutti potremmo essere soggetti si è sviluppata in seguito ai miei viaggi.
Voglio approfondire l’analisi psicologica di una condizione che parte come momentanea e spesso si cristallizza e solidifica diventando causa di rassegnazione e passività.
Lo scopo del progetto “ Professione : Rifugiato “ è cogliere la differenza che distingue i rifugiati recenti e i rifugiati di vecchia data, in termini sia psicologici che comportamentali, e comprendere il diverso percorso che li separa e li unisce.
E’  l’osservazione e l’analisi del concetto di speranza, che trasforma l’aspettativa di un imminente ritorno in eterna attesa.
L’integrazione in un paese diverso non sempre dipende dal rifugiato stesso, dalle sue capacità fisiche e mentali nell’affrontare il trauma dell’abbandono e del distacco, ma in alcuni casi è collegato anche dall’atteggiamento del paese ospitante che li relega in una realtà limitante e demoralizzante.
Per questo il profugo non assume poi il suo posto nel mondo, in alcuni casi la sua occupazione diventa essere un rifugiato a tempo pieno.
Vi chiedo un aiuto per terminare il mio progetto iniziato nel 2012 che mi ha portato in West Bank, Libano e Gaza, dove ho realizzato parte del reportage e raccolto diverse testimonianze.
Vorrei tornare in Libano per ampliare la mia ricerca con i rifugiati siriani e recarmi in Iran dove da molti anni i profughi afghani trovano rifugio scappando da ben due guerre, una delle quali ancora in corso.
Con il vostro supporto spero un giorno di poter realizzare una mostra itinerante e un libro.
Grazie di cuore.

Annamaria Bruni

 




There is 1 comment

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  1. Agostino

    Alla fine come è andata? Il progetto c’e’ ancora, avete raccolto fondi o si è chiuso per sempre? I fatti recenti sulle ONG, spesso dipinte di nero e con interessi privati o finanziate da personaggi discutibili come Soro, mi hanno lasciato un po la bocca amara e oggi, se devo essere sincero, ho qualche dubbio se fare o meno l’offerta. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più a riguardo.


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