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La miopia del No

Il Baobab e i suoi colori

(di Michela Castiello D’Antonio / foto: Max De Giorgi)

Vivere il Baobab Experience significa vedere con i propri occhi quanto la forza di una piccola comunità, fatta di donne forti e tanti volontari, riesca a garantire quel minimo di umanità, di "casa" e di soluzioni semplici che, a quanto pare, non vogliono essere trovate da un Comune che ha semplicemente detto “no”ad un progetto intelligente sul quale non ha dovuto versare nemmeno una goccia di sudore.

Un “no” assordante che accompagna il recente smantellamento di Via Cupa: tende rimosse, cibo e materassi violentemente gettati. La storia si ripete perché a donare quegli oggetti era stato il sentimento d’accoglienza che ha contraddistinto tutti coloro che, da un anno a questa parte hanno difeso, supportato e creduto in un’iniziativa partita “dal basso”.

La storia si ripete perché questo è l’ennesimo gesto di cecità che si aggiunge alla chiusura, nel dicembre scorso, della ex sede del Baobab, poco confortevole, ma almeno al coperto.
Un “no” incomprensibile, perché quello presentato era un progetto a costo zero per l’amministrazione che proponeva il riutilizzo di una struttura ormai abbandonata e dal dubbio futuro, viste le già note inchieste di Mafia Capitale.

UNHCR, Save the Children, Medici senza frontiere, Amnesty International, Avvocati di strada e tanti altri nel mondo dell’associazionismo e delle Ong, avrebbero garantito materiali per il primo soccorso, per l’assistenza sanitaria e legale, un letto e delle coperte, dei servizi igienici, ma soprattutto un tetto.

A nemmeno un anno dalla riapertura si assiste alla stessa mancanza di ragionevolezza, alla persistente miopia e soprattutto ad una devastante inerzia. Il periodo estivo, sebbene non senza piogge, ha lasciato spazio ad un autunno che, oltre a tante speranze rinnovate, portava con sé tende fatiscenti e non adatte alla stagione, indumenti zuppi, facce stanche, malattie e continue promesse disattese.

A far male è soprattutto l’incapacità di capire quanto questo corridoio umanitario, che alberga in una piccola strada vicino alla Tiburtina, sia una realtà solidale, organizzata dal basso e profondamente attenta alle esigenze di immigrati e vicinato.

 
 

GALLERIA FOTOGRAFICA

Quello che colpisce del Baobab sono proprio i colori, l’ordine, l’umanità e il volontariato fai da te.

Voci alte si rompono quando arrivano cibo, vestiti e medicinali.
Palloni che rotolano lasciano passare Sonia, sorridente, esuberante, determinata. Lei, una delle più forti attiviste, che ha rinunciato a tutto pur di garantire a questo progetto continuità e risonanza.

Occhi magnetici seguono attenti i movimenti estranei di chi varca la soglia di via Cupa. Che tu sia in cerca di una storia o di una qualsivoglia informazione che possa strapparli da questo “tetto a cielo aperto”, devi avere rispetto dei tempi, dei volti, della storia e delle speranze future.

Ciao, Hi, Bonjour, Salam, Sannu ed entri nella tendopoli romana per i migranti transitanti. L’ultimo blitz di agosto ne conta più di 300, ma sembra non avvertirsi calca o disordine. Col tempo, hanno formato dei piccoli gruppetti che gli ricordano casa. Sud-sudanesi, sudanesi, eritrei, etiopi, nigeriani, somali ed egiziani. Chiacchierano, fumano, giocano e si riposano su materassi logori.
Pian piano, però, si respira l’emergenza. Lì, in uno stabile abbandonato di Via Cupa, occupato e adibito a dormitorio. Brandine improvvisate, graffiti che segnano il tempo di giornate senza fine, buio riscaldato dalla sola luce naturale, flebile ma avvolgente. L’arancio la fa da padrone mentre Mustafà, subsahariano e veterano del centro, ci accompagna e ci mostra come sia possibile avere una propria piccola dimensione, laddove qualcuno vorrebbe regnasse solo l’amnesia.
Amnesia: quella che porta a non sentirsi responsabili per richiedenti asilo e immigrati. Quella che non fa distinzione nei dibattiti populisti tra prevenzione della migrazione e della migrazione forzata.
Ora sempre più, fanno paura la Ventimiglia, il Brennero, la Chiasso di turno, i Referendum alle porte che si moltiplicano come formiche.
Fa paura questa miopia ingiustificata, questa indifferenza sconcertante e questa eco mediatica che si dipana dalle bocche di politici e giornalisti che ormai da mesi fanno visita al centro senza che questo pragmatico esempio di democrazia dal basso trovi una soluzione durevole e degna di tante altre città europee.

Eppure loro ci hanno sorriso e si sono fatti fotografare. Abbiamo riso insieme. Noi abbiamo sorriso per un loro “si”, in cambio di una sigaretta in compagnia.
Noi abbiamo posto attenzione ai dettagli e abbiamo sperato. Ora resta solo la voglia di inaugurare un nuovo giorno all’insegna della riapertura del Baobab, un’apertura con cui l’assessore Laura Baldassarre possa dare un segnale risolutivo alle ripetute bandiere bianche alzate a mezz’asta fino ad ora.

Michela Castiello D’Antonio / foto: Max De Giorgi




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