il non popolo del ‘mi piace’
A fianco dei cittadini Eritrei con il non-popolo del “mi piace”
di Marida Augusto (foto: Roberto Bianconi/S4C)
Sabato 29 gennaio, ore 10 Presidio pacifico davanti alla sede della Commissione Europea, in pieno centro a Milano, a fianco dei profughi eritrei che sono lì per chiedere più attenzione, più impegno, più voce per i loro amici, fratelli, compagni, sorelle..figli, ancora oggi prigionieri da qualche parte in Egitto. Il sacerdote eritreo, presidente dell’associazione Habeshia, sostiene che dei 250 eritrei che erano stati fatti prigionieri, non si sa più nulla, forse sono nelle carceri egiziane, forse… non si sa. L’unica notizia che pare certa è che 27 di loro sono ancora prigionieri, tra cui una donna che a causa delle botte ha perso il bambino che aveva in grembo, e un ragazzo in fin di vita.
Voi lo sapevate? Io no, sono dovuta andarmela a cercare apposta la notizia eppure leggo due quotidiani al giorno.
Io sono a Milano con Gabriel Baravalle, presidente della associazione a cui appartengo Apertamente (di Biella) e con il fotografo free lance Roberto Bianconi (Shoo4Change).
Roberto Malini fondatore del gruppo Everyone organizza il presidio, di cui da risonanza Gabriele Del Grande sul suo sito Fortresse Europe e su facebook.
Le adesioni sono tante, i commenti pure: “Speriamo bene per quei 27 che non sono pochi. Anche per uno solo vale la pena scendere in piazza” e “Tutti devono essere liberati e non devono più succedere queste tragedie.” Molti su facebook cliccano il tastino più famoso del mondo “mi piace”.
Roberto è entusiasta, a lui è arrivata l’adesione di tantissime associazioni, almeno 42 e di 200 persone singole. “Ma che tipo di adesione?” Io gli chiedo e lui risponde “mi hanno detto – ci vediamo là, noi ci saremo”, tra le 42 associazioni ci sono l’Asgi, le Acli, il centro studi…insomma…associazioni che quotidianamente si occupano di questi temi, che ne conoscono i drammi, e mentre me lo dice penso che, sì voglio ancora credere nella piazza italiana, poi mal che vada almeno un rappresentante per associazione ci sarà e quindi, insomma, un po’ di numero lo facciamo.
E allora si parte, perchè è giusto, perchè quel presidio lì è un evento unico per gli Eritrei che vivono in Italia, perchè per la prima volta si riuniscono per manifestare. La comunità eritrea conta circa 5000 persone, numero molto variabile e molto oscillante, si spostano spesso per l’Europa, sperando di trovare rifugio in un paese che non sia l’Italia. Immagino che non tutti ovviamente ci saranno, perchè è legittimo avere paura di partecipare ad un presidio, in questa Italia di oggi.
Mi affaccio sulla piazza, ed è semivuota, al punto che facciamo anche fatica a capire qual è il presidio. Una cinquantina di eritrei e pochi altri “visi pallidi”. Mi sale uno sconforto misto a grande vergogna, al punto che ne rimango paralizzata e non riesco nemmeno a scattare le foto che avrei voluto, non so che dire. I miei sentimenti passano dalla frustrazione, alla rabbia…ma soprattutto molta molta vergogna per il mio paese.
La prima cosa che penso è: ecco l’Italia di oggi, che manifesta e si indigna cliccando virtualmente quel maledetto tastino del “Mi piace” di facebook, pensando che possa bastare quello. D’altronde fa molto freddo, poi nel mondo virtualizzato e tecnologico di oggi le adesioni virtuali valgono come quelle vere..no?
Insomma, io so che è giusto manifestare, indignarsi, reagire, che lo faccia fisicamente o mentalmente non è la stessa cosa?…no, per me no. Per me che fino a ieri non ero mai scesa in piazza, che non ci ho mai creduto poi così tanto, che non ne vedevo i risultati. Per me e i miei amici che sono qui, che abbiamo passato il 2010 a tentare di dare un risposta alla domanda sul “che fare”? che rimbalzava ovunque. Che fare? Vale ancora scendere in piazza?
Ma noi eravamo lì, perchè i profughi eritrei non se ne fanno niente della realtà virtuale, perchè le botte che i loro compagni prendono sono vere, e la morte è vera. Perchè non se ne fanno niente del tastino “mi piace”, perchè hanno bisogno di facce, occhi, gambe e braccia, hanno bisogno di corpi che gli dicano “io sono qui a fianco a te”. Perchè ne ho bisogno io, certo che anche io ne ho bisogno! Per continuare a dare un senso a quello che faccio, per dare forma fisica ai valori in cui credo, e volti e nomi.
Non so se avremmo smosso qualcosa anche fossimo stati tantissimi, non lo so, forse no, ma sarebbe servito per loro.
Ma i cittadini eritrei ci ringraziano, per loro è stato un successo comunque, gli ha dato forza, per la prima volta si riunivano e questo per loro è un grande risultato.
Roberto Malini mi racconta al telefono che erano contenti, nonostante tutto. Ed era contentissima anche Rebecca, che abbiamo conosciuto lì, manifestava anche lei, ragazzina rom di 15 anni. Manifestava e ci ringraziava con un sorriso disarmante. Dipinge donne che raccolgo le mele, foreste tropicali, ponti verdi, oceani e ci ringrazia. A 5 anni suonava il tamburello per le piazze di Buenos Aires, quando è arrivata in Italia ha subito la tortura degli sgomberi. A 12 anni ha visto suo padre picchiato a sangue da chi eseguiva quegli sgomberi, e la cognata massacrata in un negozio in centro, con le commesse che gridavano “picchiatela, picchiatela!”. Il gruppo Everyone si è occupata di lei e oggi è qui a fianco degli eritrei, sorridente e dice “adesso finalmente vado a scuola, ho faticato ma mi trattano come una ragazzina normale” e noi le rispondiamo “ma tu sei una ragazzina normale”.
Alla fine della giornata i cittadini eritrei sono soddisfatti, Rebecca è contenta. Io lo sono per loro, ho conosciuto persone interessanti con cui continuare a resistere e lottare…ma il senso di vergogna e di inadeguatezza non passa. A me, come italiana è rimasto solo il vuoto di quella piazza.
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Hai fatto molto, hai fatto informazione. Troppi sono i temi di cui da queste parti sappiamo poco perché sono fuori dalla logica della notizia che fa audience-cassa : Vogliamo parlare dei Mapuche? Vogliamo parlare delle compagnie petrolifere in Amazzonia? Personalmente sapevo molto poco del nordafrica prima dell’ondata di queste ultime settimane, molto poco sapevo dell’Eritrea. Ma te/voi avete fatto informazione in una realtà virtuale che purtroppo o per fortuna comincia sotto certi aspetti a contare quanto quella fisica. Lo so che le botte son reali ( e so anche che gitana e commesse son tasselli di una realtà geopolitica per non dire storica enormemente più grande di loro) ma in quanti hanno il tempo di solidarizzare fisicamente? A parte che vivo in una remota aldea di una piccola provincia considera che ti sto rispondendo prima di colazione perche dopo non c’è piu tempo.
Ciao
Ciao Federico, grazie per questo bel commento. Hai ragione, Marida e Roberto hanno fatto informazione. E l’hanno fatta come piace a noi…
Speriamo di riuscire a tenere, non dico i riflettori, ma almeno un lumino acceso su questa storia…
A presto!
Antonio