Fa la cosa giusta! Do the right Thing!Do the right Thing!
[english below]
(testo e foto di Annamaria Bruni)
Sembra una scena degna di un film di Natale. Eppure c’e’ qualcosa che non quadra.
Ci sono I sorrisi e le corse dei bambini verso il carretto delle meraviglie, ma sotto i loro piedi distese di rifiuti. La corsa stabilisce chi per primo arrivera’ al prezioso bottino e di conseguenza potrà scegliere prima degli altri.
Cosi ha inizio il mio tour intorno alla discarica di Sharm el Sheik, meta di un turismo sempre piu’ di massa che ha portato questa piccola località persa nel deserto ad un distesa di alberghi a 3 4 5 o 7 stelle a seconda delle esigenze e del portafoglio.
Nonostante provenga dall’ Italia, uno dei Paesi che con il problema dell’immondizia ci convive ormai da tempo, sono rimasta positivamente colpita da questa realta’ lontana dagli occhi e dal cuore dei turisti.
Infatti in questo micromondo nemmeno un pezzo di pane viena risparmiato dal riciclaggio.
RICICLAGGIO. Termine che non riesci ad accostare ad un paese del terzo mondo come l’Egitto.
RICICLAGGIO. Ti viene da pensare a metropoli, fredde e pulite, perfettamente organizzate.
RICICLAGGIO. Raccolta differenziata e impianti di smistamento.
Nella discarica esiste l’impianto di smistamento. E’ stato acquistato con i soldi della comunita’ europea ma non e’ mai entrato in funzione. Bello pulito e impacchettato, riposa silenzioso a fianco delle tre gigantesche fosse dove viene scaricata tutta l’immondizia della cittadina.
In Egitto vige la regola del “io butto tutto, plastica vetro carta e umido, lo butto tutto insieme, e dove mi capita”, per cui gli egiziani convivono giornalmente con montagne di pattume.
Non si scompongono ne’ vengono infastiditi quando le centinaia di buste di plastica che nel cielo vengono soffiate dal vento in aria, e a guardarle pensi siano tante cicogne in volo, e quando cadono in mare rimangono sospese nel blu come piccole mante.
Proprio per questo e’ praticamente impossibile come regola la raccolta differenziata. Ad ogni metro ci sono cumuli di spazzatura dove gatti e cani randagi di quartiere fanno la prima selezione e giornalmente camion donati dalla comunita’ europea dipinti di rosa arrivano e prelevano sacchetto per sacchetto, fino a quando il camion non trabocca.
Poi si parte alla volta della discarica, che dista dalla citta’ una decina di km e si trova nel bel mezzo del deserto. Tutto intorno alle fosse sono state costruite le capanne dai lavoratori con un piccolo bar per il dopo lavoro.
Questo micro villaggio, fatto con materiale riciclato: le porte fatte di vecchie coperte, i tetti con foglie di palma, come mensole le cassette di frutta. Ogni capanna ha il suo arredamento personalizzato.La giornata tipica inizia verso le 6:00, i beduini sono I primi a recarsi alle fosse, dove portano le capre a pascolare. Quest’ultime vagano per l’immondizia come anime perse frugando nei rifiuti e ruminando, ed e’ buffo vederle ciondolare qua e la’, con ogni sorta di oggetto attaccato alle zampe. Dopo l’ alba arrivano I lavoratori, la cui eta’ varia dai 5 ai 30 anni, principalmente di sesso maschile anche se guardandomi attorno noto anche tante donne. In questo luogo musulmani e cristiani lavorano insieme, in pace, bevendo the e chiaccherando come in un normale ufficio.
Sotto un sole a 40 gradi si inizia la raccolta di plastica, vetro, carta e umido. Li guardo, non riesco a capire come si possa resistere a queste temperature, lavorando senza guanti, senza stivali, senza nessuna protezione, immersi nei rifiuti come se fossero in una risaia. Pazienti ed allegri lo fanno, ad ognuno il suo.
L’umido e’ prerogativa dei beduini, le famiglie infatti si spostano e vivono nella discarica per brevi periodi ,per poterlo raccogliere e metterlo a seccare.
Servira’ per nutrire gallline, capre e anatre durante i mesi estivi. Il vetro viene raccolto e diviso per marca, per poi essere rispedito alla fabbrica di produzione.
La plastica, come la carta e l alluminio, viene pressata con vecchissimi macchinari alimentati con il generatore. L’ orario di lavoro finisce alle 3:00, e qui pare non ci siano furbetti del quartiere.
Mohamed viene dal Cairo e mi racconta che lavora qui da 4 anni, guadagna per smistare il vetro 1500 lire egiziane al mese che convertite in euro sarebbe uno stipendio da fame (200 euro) ma qui in Egitto e’ un salario di tutto rispetto, visto che un cameriere guadagna 300 lire egiziane, ed un poliziotto 800.
Lui ci mantiene tutta la famiglia, e aiuta un po’ anche suo padre e sua madre, facendo la spesa mensile. Per lui questo e’ un lavoro come un altro, dopo che stacca se gli e’ possible trova un passaggio con un pick up beduino e s’infila nelle mille luci della Las Vegas araba.
Va’ al mare, si rilassa. Guarda I turisti ciondolare per i negozi mentre comprano papiri e piramidi. Oppure rimane al campo, nel bar a guardare la TV. Le mille mosche che di giorno rendono fastidioso anche bere un te’, alla sera danno tregua solo un unica cosa non ti abbandona mai: e’ l’odore acre e pungente che si sprigiona dalle fosse
Loro sostengono che alla fine ci si abitua, ma anche se so che nella vita ci si abitua a tutto prima o poi, e’ veramente difficile concepire come si possa vivere costantemente dentro un enorme sacco della spazzatura, tormentati dalle mosche e dalla puzza, con in piu’ una temperatura che varia dai quaranta ai cinquanta gradi. Senz’acqua corrente, senza servizi igenici, senza nessuna protezione e controllo.
Eppure, eccovi servito il luogo comune: non vedo particolare tristezza nei loro occhi, forse perche’ non consapevoli.
Forse ormai rassegnati. Forse perchè raccogliere pattume è un lavoro così nobile da poter essere compreso solo dai puri di spirito.
Questa e’ la loro vita, frugare nell’ immondizia e riciclare. E trovare qualche piccolo tesoro sepolto sotto vecchi stracci.
—–
Do the right thing!
(by Annamaria Bruni)
It looks like a scene from a Christmas movie, and yet something is not right.
The children laugh and scream as they race towards the loaded handcart, which has just turned up and stands there, full of wonders, but under the small feet, instead of snow is a thick layer of rubbish. The winner of the race gets the first pick of the loot.
So begins my guided tour of the Sharm el Sheikh rubbish dump. In very few years this small desert settlement has grown into a major mass tourism destination, a string of hotels and resorts covering a 50 Km stretch of coast, ready to accommodate hundreds of thousands of tourists.
Coming from Italy, a country which has long learned to coexist with its huge waste problem, I was favourably impressed by this microcosm reality which is kept hidden from the eyes and hearts of the tourists, and in which not even a piece of bread goes unrecycled.
RECYCLING. A word that is not readily associated with a thirld world country like Egypt.
RECYCLING. Makes you think of a big city, clean and cold and perfectly organised.
RECYCLING. Kerbside collection and materials recycling facilities.
There is such a facility in the SSH dump. It was bought with EU funds but was never switched on. Clean and shiny, still wrapped in its packaging it stands next to three huge pits that collect all the waste that is produced in the city.
The rule in Egypt is to throw away anything anywhere anytime, so Egyptians are used to live amongst piles of rubbish. They are not fazed when the wind blows hundreds of plastic bags high in the sky, like flying cranes, and they are not bothered when they land in the sea and end up floating just below the surface like so many miniature manta rays.
This kind of attitude makes sorting materials at the source impossible, heaps of rubbish pile at every street corner, where stray cats and dogs take the first pick and EU funded bin lorries come and collect the rest until they almost burst at the seams. Then their journey to the tip starts, about 10 Km from Sharm in the middle of the desert.
All around the pits stand rickety shacks built to house the workers, and a small tea bar where they can relax and smoke a shisha after hard day sorting through the waste.
This micro village is built with recycled materials: the doors are made with old blankets, roofs are thatched with palm branches and fruit boxes serve as furniture. Each hut has a truly personalised interior.
The typical day begins at 6 am. The bedouins are the first to go to the pits with their goats and let them roam on in the waste like lost souls, searching and chewing, random objects stick to their hooves and horns. The rest of the workers arrive after dawn, they are mainly men, aged between 5 and 30, but on closer inspection I see many women there too. Muslims and Christians work here side by side, drinking tea and chatting like at any other workplace.
Under an unforgiving sun and 40°C starts the sorting of plastics, glass, paper and organic matter. I watch them and cannot understand how they can resist in this heat, going through the rubbish without gloves, boots or other protection, bent over the waste like on a rice paddy.
And yet they carry on patiently and even merrily, each to their own. The bedouins specialise in organic matter, entire families move about and live around the tip for short periods, so that they can dig it out and dry it in the sun. It will go to feed goats, ducks and chickens during the hot summer months.
Glass bottles are collected and sorted by brand and sent back to the bottling plants, broken glass goes to be melted. Plastics, like paper and aluminium, get compacted with old generator powered bailing machines.
The workers clock off at 3pm. They work hard. Mohammed comes from Cairo and tells me that he has been working here for four years, he earns LE1500 (roughly €200) per month sorting glass. This is a good salary here in Egypt, a waiter would get about LE300 and a policeman LE800.
Mohammed supports his whole family, and he considers this a job like any other. If he gets a chance after work he will jump in a pickup truck with a bedouin and lose himself in the thousand lights of the Arab Las Vegas. He goes to the beach to relax, watches the tourists as they stroll along and buy pyramids and papyrus or just hangs out at the camp bar to watch TV.
The clouds of flies that make it impossible to get through a cup of tea during the day, finally disperse in the evening. Only one thing remains unchanged around the clock: the pungent acrid smell rising from the pits.
The workers claim that you get used to the stench eventually, but even though you can get used to everything in life, it seems impossible that people can live inside a huge rubbish bin, plagued by flies and smell, with temperatures ranging from 40 to 50°C, without running water, toilets and any kind of regulation and control.
And yet, although it might seem like a cliche, I do not see sadness in these people’s eyes, can it be because of a lack of realisation? Or have they just resigned themselves to their fate? Maybe waste sorting is a job that can be understood only by those who have a pure soul.
This is their life, rummage through the rubbish and recycle. And maybe sometimes find a small treasure buried under a pile of old rags
There are no comments
Add yours