Dogon, the forgotten People

[ENGLISH EXCERPT: The Dogon are an ethnic group living in the central plateau region of Mali.  The population numbers between 400,000 and 800,000. The Dogon are best known for their mythology, their mask dances, wooden sculpture and their architecture. The past century has seen significant changes in the social organization, material culture and beliefs of the Dogon, partly because Dogon country is one of Mali’s major tourist attractions (font: Wikipedia)]

Le belle foto di Ivano Adversi (S4C Bologna) ed il testo di Cristina Berselli ci raccontano dei Dogon, una popolazione del Mali, dimenticata dal Governo centrale e tenuta ai margini dell’attenzione dell’opinione pubblica pur dovendo affrontare grandi problemi.

 I Dogon oggi vivono numerosi problemi causati in parte dalla natura ed in parte, appunto, dalla non curanza dei governanti. La quasi totalità della popolazione vive di agricoltura. Tra il 2000 ed il 2006 il Paese Dogon, in generale come la gran parte dei villaggi del Mali, hanno subito dei periodi di siccità ed anche le invasioni delle cavallette. A questo si aggiunge la grande siccità e le conseguenti carestie. Ancor più oggi i villaggi Dogon non hanno quasi più terra coltivabile a causa dell’avanzare delle dune di sabbia. I giovani, a seguito dei cattivi raccolti se ne vanno verso le grandi città per lavorare e salvare le loro famiglie così come le giovani ragazze che vanno in città a fare i lavori domestici.

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I DOGON (testo Cristina Berselli, foto Ivano Adversi)

Il villaggio di Irelì è praticamente invisibile da lontano, incastrato com’è nella ripida parete della falaise, nascosto da grandi formazioni rocciose che sembrano lanciate disordinatamente da giganti estrosi.

La famosa falaise di Bandiagara in Mali è un tavolato maestoso di 250 km che dal XV secolo ospita la popolazione Dogon. Agricoltori di miglio, riso e mais, organizzano la loro vita intrecciandola con il movimento delle stelle e attribuendo un’anima agli oggetti comuni e ai fenomeni naturali, anche se da qualche decennio la diffusione dell’Islam ha modificato in parte queste credenze.

Nelle controversie quotidiane e nelle grandi decisioni che coinvolgono parte del villaggio l’ultima parola è affidata agli Ogon, anziani e solitari uomini che, eletti al difficile compito di giudici e consiglieri, vivono in grotte separate dal resto del villaggio. La loro sopravvivenza è garantita dalle donazioni e il loro isolamento ne accresce la saggezza e l’imparzialità nei giudizi.

Prima dei Dogon questi luoghi erano abitati dai Tellem, una misteriosa popolazione pigmea con insolite e fantasiose capacità, come quella di volare o di apparire inaspettatamente. Cacciatori esperti, restano per i Dogon di oggi un mito e una leggenda fantastica da raccontare e enfatizzare. Dei Tellem infatti, restano minuscole costruzioni in fango abbarbicate curiosamente ai più alti costoni di roccia e misteriose grotte dove si celano i resti delle loro spoglie mortali.

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 Anche qualche Dogon pratica la caccia e per questo viene particolarmente rispettato e stimato dal resto del villaggio, veste di pelli e maneggia con destrezza vecchie armi. La casa di un cacciatore si riconosce subito perché i trofei di caccia vengono appesi con orgoglio e i teschi di scimmie e conigli incorniciano porte e finestre in un lugubre addobbo.  

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Ma  l’immagine più rappresentativa e conosciuta dei villaggi Dogon è data dai caratteristici granai, la cui forma originale ci trascina in una dimensione fiabesca e fragile. Simili a piccole torri di forma quadrata di fango e paglia appoggiate su basse palafitte, sono sormontati da tetti a punta in cannuccia, che sembrano buffi cappelli da strega. Più numerosi delle stesse abitazioni, hanno piccole finestre in legno scolpite, finemente decorate con le figure della famiglia del proprietario e altri simboli mitici legati alla tradizione, come tartarughe o coccodrilli.

La luce nella stagione secca è abbagliante e il sole costante rende l’aria cocente e i colori vividi e caldi.

Per arrivare a Irelì, a Kundu Da o a Begnimato bisogna camminare, arrampicare, raggiungere gradualmente i vari livelli dell’altopiano roccioso, superando spaccature e sbalzi godendo però di un panorama meraviglioso, spaziando con lo sguardo sulla pianura di Gondo e su altri piccoli villaggi della pianura ai piedi della falaise. 

E’ una piccola conquista, una piccola prova di energia.

E’ soprattutto una prova di curiosità e di amore per un mondo lontano e affascinante, messo costantemente a dura prova non solo dalle quotidiane fatiche per assicurarsi i bisogni essenziali, ma anche dall’abbandono e dall’incuria da parte delle autorità di governo, che spesso trascurano e dimenticano comunità ancestrali come i Dogon, che nel corso dei secoli hanno cambiato molto poco il loro modo di vivere.

Il loro nome deriva da un’erba selvaggia che sopravvive come loro in terre aride e aspre, lottando quotidianamente per rimanere vivi e autentici.      

Cristina Berselli

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Chi è Ivano Adversi

Ivano Adversi si occupa di fotografia dal 1979. Attualmente fa parte di un gruppo di fotoreporter e ricercatori principalmente orientati al reportage sociale e antropologico.

Collabora stabilmente con Antartide, centro di studi e comunicazione ambientale promosso dal Consorzio Università – Città di Bologna, per il quale si occupa del settore iconografico.

È autore di volumi fotografici quali

Destini incerti Animali ed ambienti da salvare per sopravvivere insieme (Edizioni Calderini), dedicato ad alcuni animali in pericolo di estinzione, tra i quali la tigre, l’elefante e l’orso grizzly, e agli habitat in cui vivono;

Il respiro del fiume, una ricerca fotografica e storica sui più grandi fiumi della terra, dal Gange al Colorado, dal Nilo allo Yukon

Reno Memoria di un fiume, documentazione storico fotografica sul fiume Reno, dalla sorgente sull’Appennino bolognese alla foce nel mare Adriatico

L’Oratorio di Santa Maria della Vita, sul restauro dell’omonimo oratorio.

Buonanotte Suonatori, luoghi e protagonisti del jazz a Bologna. Una ricerca fotografica sui locali e i ritrovi jazz in città

TERRE DI LIBERTA’ i volti e i luoghi del riscatto civile dalle mafie, volume sulle cooperative di Libera Terra, che gestiscono i terreni confiscati alla criminalità organizzata

Nel 1989, a Bologna, è stato tra gli organizzatori, assieme a Nino Migliori, della 1a settimana Internazionale di Fotografia.

Riviste su cui sono apparsi articoli ed immagini: Zoom, Qui Touring, Airone, Windsurf, Reflex, Altromondo, Jonathan, Quattrozampe, Viagginsieme, Giramundi, Voyager, A tutto gas, New Age ed altre. Ha curato la parte fotografica della rivista Giramundi.

Sue immagini relative al settore musicale sono state inserite nei siti web di Marco Pignataro, Scott Steen, Iarin Munari,  Andrea Dessì, Massimo Tagliata, Maurizio Minardi, Ronnie Cuber, Sue Mc Cracklin e altri.




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  1. Robins

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