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CrisalidiTrans

 [what we present today – altough the text is only in italian and I apologise – is an insight into the often misrepresented World of the transgenders. A journey from Istanbul to Italy, discovering three interesting individual stories and the stage (and backstage) of a special beauty contest]

Oggi parliamo di bellezza, di glamour, di femminilità. Lo facciamo sull’onda del dibattito – tutto italiano – sulla rappresentazione delle donne nei media, sul festival di Sanremo, dsu tatuaggi, su farfalline, etc.

Ma lo facciamo, ovviamente, a modo nostro, raccontando un mondo nascosto. O meglio, che appare prevalentemente di notte, abitato da…crisalidi.

E’ un lavoro interessante di Annalisa Marchionna che – lei stessa – ammette aver appena cominciato…

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Crisalidi

(Testo e foto Annalisa Marchionna)

 L’errore maggiore è dire trans e pensare a un calderone di individui tutti uguali, con la stessa vita, gli stessi desideri, le stesse manie. Ognuno di loro è semplicemente una persona, con il proprio carattere e la propria storia.

L’aspetto che accomuna tutti è senz’altro la trasformazione, parziale o totale, che hanno imposto a un corpo nel quale non si riconoscevano. L’unica differenza nel passaggio tra un sesso all’altro è la visibilità del cambiamento: solitamente una donna che diventa uomo si integra perfettamente dopo gli interventi chirurgici e i dosaggi ormonali, appare un uomo “normale”.

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Nel caso contrario sono poche le trans che, una volta creata la propria fisicità femminile, appaiono completamente donne. Sono loro che la gente per strada indica come trans, e lo fa in maniera dispregiativa, come un fenomeno da baraccone. La storia della loro emarginazione è simile in quasi tutti i paesi del mondo, e il rapporto allarmante dell’associazione Transgender Europa denuncia 681 omicidi in 50 paesi negli ultimi tre anni.

Per tutti il movente è la transfobia, e in questa cifra non è compresa l’Africa, dove è impossibile monitorare la situazione.

 Voragine Istanbul

 Questo piccolissimo viaggio nella comunità trans è cominciato un anno fa a Istanbul. Nella capitale turca vivono circa 500mila trans. Un numero in aumento negli anni, da quando le nuove leggi hanno fatto un passo indietro nei confronti della comunità transgender e le trans, maggiormente perseguitate nelle cittadine di provincia, si sono rifugiate in massa nella megalopoli da 20 milioni di abitanti.

Per loro, anni fa esibite come il massimo del glamour a una festa, non resta che la via della prostituzione e dei night, nascoste alla luce del sole e ghettizzate in quartieri malfamati a due passi dal centro. Per sopravvivere le più anziane e malconce si prostituiscono per tre lire, meno di un euro e mezzo, ed è diffusissimo l’abuso di alcool e sostanze stupefacenti.

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L’associazione Lgbtt, ovvero lesbian, gay, bisexual, transexual and transgeder, è nata per contrastare la transfobia diffusa sul territorio e per dare supporto a tutte le categorie di persone nominate, nonché per diffondere una maggiore conoscenza delle malattie sessualmente trasmissibili tra tutti i sexual workers, di cui le trans fanno ampiamente parte.

 

«Istanbul è la città del paradosso, dell’ipocrisia, della doppia faccia», dice Şevval Kilig, attivissima nell’associazione. «Vent’anni fa la persecuzione era per mano della polizia. Oggi le forze dell’ordine non toccano più i trans, ma infliggono multe talmente pesanti che vivere è diventato impossibile. Non ci sono più motivi politici dietro questa nuova persecuzione, spesso vi si nascondono ragioni religiose. Allo stesso tempo sono in aumento in modo spaventoso gli omicidi di trans per mano di gente normale, che siano clienti, amanti o altri, tutti elementi che fanno pensare a una transfobia crescente». Una delle leggi peggiori in vigore in Turchia penalizza chiunque si mostri pubblicamente “travestito”.

E per travestimento si intende anche assomigliare a una donna quando si è, sui documenti, un uomo. I poliziotti guadagnano crediti in base alle multe inflitte. Con questo sistema si è aperta l’ennesima caccia alle streghe, anche se qui al posto del rogo c’è lo spauracchio di una costosissima multa che quasi nessuna di loro può pagare…

 

Regine della notte

Già da alcuni anni esiste il concorso Miss Trans. Come Miss Italia, anche l’omonima passerella per il terzo sesso comincia dalle selezioni regionali. A luglio si è tenuta quella abruzzese, una buona occasione per conoscere le trans di Pescara.

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«Abbiamo partecipato per divertirci, per sentirci donne, perché anche noi desideriamo calcare una passerella in abito da sera ed essere ammirate», dichiarano in coro diverse concorrenti. Tutto è filato liscio, e tra una passerella in jeans, una in abito da sera e una in costume da bagno il pubblico ha assistito a spettacoli di vario genere, dalle esibizioni in playback (autentico modello Priscilla!) fino allo scatenato spogliarello di una ex reginetta; il tutto coordinato da Giò Sensation, mente e braccio dell’evento.

Maria Lucia Potere, psicologa presente nella giuria per il secondo anno, dichiara : «Ho condiviso un momento di gioia con le concorrenti, soprattutto quando sfilavano e cercavano consensi in un contesto diverso da quello in cui vivono abitualmente». Perché è inutile nascondersi dietro un dito: la maggior parte di loro vive e lavora nel ghetto del sesso.

«Mi ha colpito la loro timidezza», continua la psicologa. «Non sono abituate a presentarsi al pubblico in questo modo. Hanno già difficoltà nell’accettare il proprio corpo fino a quando non completano la transizione nell’altro sesso, figuriamoci come si sentono sotto gli occhi curiosi della gente (le ragazze del concorso hanno attributi sessuali maschili). Paradossalmente, sanno reagire meglio alle persone quando lavorano per strada che quando sfilano su una passerella: conoscono e sanno affrontare la strada e i suoi codici, questa serata invece ha regole diverse».

 

È dello stesso parere anche Antonello Salvatore, da dieci anni impegnato nella Onlus On The Road (che tra i vari compiti assiste anche i transessuali), e da cinque edizioni giurato d’onore del concorso: «Le ragazze, sia le concorrenti sia quelle tra il pubblico, erano molto in ansia: su questa passerella si sentono troppo esposte, a maggior ragione se sono della città o di zone limitrofe».

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Zulay, eletta Miss Eleganza, e Michelle, Miss Sorriso, raccontano con gioia la passerella. «È stata un’esperienza entusiasmante e imbarazzante al tempo stesso. Sei inevitabilmente nervosa, sai che tutti ti stanno guardando e ti chiedi: che cosa faccio? Come cammino? Ma poi ho sentito un sacco di commenti carini dal pubblico presente, che si stava divertendo e ci applaudiva, e questo mi ha fatto molto piacere».

 

Michelle sa di non avere un fisico da modella: le piace mangiare, come lei stessa dichiara, ma è talmente simpatica e in armonia con tutti che alla fine ha conquistato la fascia di Miss Sorriso.

 

Sia Lucia Potere, sia Antonello Salvatore conoscono, seppur da punti di vista differenti, la realtà di queste persone. Pescara reagisce al mondo dei trans con un pizzico di malizia e un po’ di paura, e in questo non è diversa da molte città italiane: «Trovo che a livello etico e sociale la loro diversità non sia ancora accettata nella nostra regione, e credo che altrove non vada meglio», afferma Antonello Salvatore. «Li vogliamo relegare nell’ombra, ma sono sicuro che eventi di questo genere, come un concorso di bellezza, seminati in maniera costante e disciplinata nel tempo, avvicinino un numero sempre maggiore di persone a conoscere questo mondo e a ridurne la demonizzazione. Non intendo affrontare l’argomento in maniera buonista, dico solo che la diminuzione dei conflitti derivanti dalle differenze che ogni singola minoranza porta con sé rende la vita più armoniosa. Tutti noi ricaviamo vantaggi maggiori dall’avere nel vicino di casa un amico anziché un nemico di cui diffidare».

 

«Allargando lo sguardo oltre Pescara, in gran parte del mondo la transessuale è abbinata per cultura alla prostituzione, alla trasgressione, al sesso, ma non sempre questa è la sua scelta», racconta Antonello Salvatore. Anche a Pescara alcune di loro hanno cercato di inserirsi in un contesto lavorativo normale, ma di fronte al documento con il nome maschile sono state rifiutate. Spesso vengono abbandonate dalle famiglie d’origine, che non riescono ad accettarle, e questo abbandono si somma al carico di problemi psicologici ed economici che le rendono particolarmente fragili.

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«Il percorso che le porta al cambio di sesso è lungo, doloroso e costoso, e la via della prostituzione si configura spesso come l’unica scelta possibile. Però bisogna rilevare che tendono a restare tra loro», sottolinea Maria Lucia Potere. «Non vogliono o non sono capaci di crearsi una rete di relazioni con persone fuori dalla loro cerchia. Le mura del ghetto nel quale sono confinate le hanno innalzate tanto le persone fuori, quanto loro stesse dall’interno. Vorrebbero integrarsi, avere un lavoro normale, ma alla prima occasione viene fuori l’ostentazione provocatoria della loro fisicità. Questo dipende dalla condizione che in psichiatria viene definita “disturbo dell’identità di genere”, in cui si spezza quell’armonia che lega il corpo, la mente, il sentire che ognuno ha della propria identità sessuale e del ruolo di genere attribuito dalla società. In poche parole, i trans e le trans si sentono nati in un corpo sbagliato».

 

La fisicità diventa così una conquista ottenibile attraverso il denaro: il seno, gli zigomi, le labbra, sono solo il primo passo che si acquista dal chirurgo estetico e che in tanti casi le trans percepiscono come qualcosa che può essere rivenduto: una sessualità oggettivizzata nel redditizio mercato del sesso».

 

Tre storie, tre ragioni, tre modi di vivere

 

Zulay

Zulay

Zulay, originaria della Colombia, vive a Pescara da 17 anni, e senza tanti giri di parole ammette di prostituirsi. A portarla nella città di mare è stato l’amore per i viaggi: «E poi a noi transessuali ci piace el rischio, el peligro: arrivare dove ci dicono che è impossibile! Spesso la gente ci tratta male, ma a noi non importa; siamo fatte così, ci facciamo una risata e andiamo avanti. Piuttosto, pensiamo che chi ci prende in giro è triste, ignorante. Noi almeno viaggiamo, ci divertiamo e non facciamo del male a nessuno: anzi, abbiamo una sensibilità molto sviluppata e ci facciamo carico dei problemi degli altri».

Zulay è consapevole di non essere accettata: «Di notte siamo le regine, di giorno quelle da evitare. Devo anche dire che in questi anni la città è cambiata: a volte ho la sensazione che si stia tornando indietro. Quando sono arrivata qui la gente ci guardava come una cosa curiosa ma in fondo bella, e per gli uomini eravamo una novità. Adesso siamo tante, tantissime, e lavorare per strada è diventato più rischioso, anche se con il mestiere che facciamo il pericolo fa parte della vita di tutti i giorni perché può sempre capitarti qualcuno che vuole farti del male».  Zulay sogna di tornare nel suo paese tra qualche anno, anche se per ora sta bene qui: deve molto all’Italia, che le ha dato la possibilità di vivere la sua diversità e di lavorare. «A noi piacciono i soldi, i vestiti, i profumi, le cose belle in generale; viaggiare, assaporare la vita pienamente… Per questa ragione il sesso è un divertimento oltre che un lavoro. I clienti pensano di comprarci, ma in realtà noi abbiamo fatto un patto con il loro portafogli!», afferma senza ipocrisia.

 

Bambola Star

Bambola Star

Partito bambino da un piccolissimo paese al centro dell’Amazzonia, Francisco approda a Rio de Janeiro quando ha 11 anni. Vive di espedienti con un amichetto incontrato lì, dorme nei cartoni sotto i cavalcavia di quella che è una delle più dure metropoli del mondo. «Sono scappata da casa perché sentivo di essere diversa e non volevo dare un dispiacere ai miei genitori. A Rio riuscivo appena a mangiare, aiutavo il mio amico a fare i tatuaggi sulla spiaggia», racconta. La sua fortuna, come dice, è un produttore di film pornografici che lo assolda per un provino. «Grazie a lui abbiamo mangiato e dormito per un mese! Lì per lì non ho capito nulla di quello che succedeva, ero spaventato, ma la fame condiziona più di quanto si crede».

Passano i mesi, una trans brasiliana gli offre un imbarco per l’Italia, Francisco parte, sapendo che veniva nel nostro paese a prostituirsi. Batte le strade di Roma, si traveste da donna, comincia a trasformare il suo fisico, ha paura, deve pagare un debito pesante con i suoi aguzzini. Finisce in carcere a Milano, 4 anni nel braccio maschile di San Vittore. Non parla di questo periodo della sua vita, ma riconosce che per la prima volta ha la possibilità di studiare. Torna a prostituirsi sulle vie di Roma, ma ci resta poco. Una sera arriva una limousine, lui entra e all’interno un uomo gli mostra un video. «Mi hanno chiesto se conoscevo il ragazzino nel film.

Quel ragazzino ero io, era il provino che avevo girato a Rio. È stata la mia seconda fortuna, quel signore era un produttore di film porno e la mia vita è radicalmente cambiata: niente più strada, niente più ghetto…». Sul set il regista gli fa un complimento, gli dice: sei proprio una bambolina. Da quel giorno Francisco non c’è più, al suo posto è nata Bambola Star.

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Oggi Bambola vive a Viareggio, tutto il vicinato le vuole bene, ha all’attivo quasi 70 film porno e la sua presenza alle più sfrenate feste della Versilia è considerata condizione sine qua non per la riuscita della serata. Continua a lavorare anche nel mondo della prostituzione, ma niente più strada, solo pochi e selezionati clienti, e solo per gli intimi si aprono le porte della sua camera. Bambola non si è mai fatta sottoporre all’operazione per il cambio di sesso.

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«Non posso completamente rinnegare la mia natura. Mi sento donna nei desideri, nell’amore che provo per la vita casalinga, nella sensibilità. Mi sento donna quando mi vesto, mi trucco, quando indosso scarpe alte e quando gli uomini mi apprezzano. Mi penso come una donna. Ma la mia sessualità è anche maschile, come i miei organi genitali. In me convivono da sempre due anime, sono uomo e donna, e il mio corpo rispecchia la mia anima», conclude.

 

Non chiamatemi trans, sono Erika

 

Erika ha 28 anni e vive con la sua famiglia nel piccolo comune ligure dove è nata. Il percorso che nel giro di pochi anni le regalerà una nuova identità, anche sui documenti, sta finalmente per terminare.

 

Erika

È stato un calvario lungo, profondamente voluto, sofferto nelle trasformazioni che gli ormoni introducevano nel suo corpo e che l’avvicinavano al suo desiderio vitale di essere donna. Erika ha vissuto anni terribili: la scuola una prigione piena di ragazzini sadici, l’adolescenza un periodo di emarginazione profonda, prigioniera di un corpo nel quale non si riconosceva. «Ho sempre pensato a me come a una bambina.

 

Quindi mi comportavo, mi vestivo, mi atteggiavo da femminuccia, e non capivo l’ilarità degli altri. Quando già grande mia madre mi ha regalato per la prima volta un vestito da donna sono impazzita dalla gioia», racconta la ragazza, «era il primo passo verso l’accettazione che desideravo, mi ha dato una forza immensa!». 

 

Erika è una delle poche trans che sono rimaste nella loro famiglia. Di solito vanno via e ricominciano da un’altra parte, dove nessuno le conosce. A viso aperto affronta la vita di tutti i giorni, e si scontra con l’impossibilità di trovare un lavoro normale: nessuno assume una trans, anche se prima della trasformazione era un commesso molto bravo. Ora si arrangia con il volantinaggio, attività poco proficua ma onesta, che lei di prostituirsi non ne vuole sentir parlare. Desidera una famiglia, star bene con gli amici, andare al mare. Per ora ha rinunciato a tutto, compreso l’amore.

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«Fino a quando non mi avranno operata preferisco restare sola. Desidero un uomo che stia con me per amore, non per provare qualcosa di diverso o perché sono uno strano giocattolo sessuale», dice, mentre continua a gesticolare e a fare tante di quelle smorfie che ti strappa un sorriso.

 

Una cara amica di Erica è Regina Satariano, una fuoriserie nelle lotte a favore del mondo trans. Responsabile del consultorio TransGenere toscano, da lei fortemente voluto, e promotrice di vere e proprie lotte per il riconoscimento dell’identità transessuale e dell’accesso gratuito alle terapie farmacologiche e mediche di cui le trans hanno bisogno, Regina conosce bene il problema dell’occupazione per quelle trans che desiderano svolgere una vita normale.

 

«È difficilissimo che qualcuno le assuma. Per loro la via del lavoro è sbarrata, e resta solo la prostituzione. Sono persone fragili, nella maggior parte dei casi hanno bisogno di un supporto psicologico e talvolta anche psichiatrico. Molte di loro, di fronte alle difficoltà di vivere una vita emarginata, non ce la fanno e si suicidano».

Peccato che di queste storie non si parli mai…

Annalisa Marchionna/S4C 




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