A proposito di Newroz
[English version below]
A seguito delle foto dei festeggiamenti in corso ad Istanbul per il Newroz, inviati da Sezayi Erken, in molti – incuriositi – ci hanno chiesto maggiori informazioni su questa ricorrenza. Pubblichiamo, allora, un reportage di Marco Palladino, relativo all’importanza del Newroz per la cultura curda.
Popoli del Kurdistan – il Newroz alla frontiera orientale
(testo e foto di Marco Palladino/S4C)
I Curdi rappresentano quasi un terzo dell’intera popolazione ma la Costituzione della Turchia continua a non riconoscere l’esistenza di altre culture, lingue e popoli diversi dalla maggioranza turca. Per anni i festeggiamenti del Newroz sono stati repressi nel sangue e tuttora le sue celebrazioni sono fortemente osteggiate dal governo di Ankara.
Dopo le elezioni amministrative del 2009, con la grande affermazione del Partito della Società Democratica (DTP, che è stato messo fuori legge l’11 dicembre dello stesso anno) la reazione turca è stata di dura repressione. Sono migliaia i detenuti politici che affollano le carceri turche, si calcola che almeno duemila intellettuali, difensori dei diritti umani, sindacalisti, militanti, amministratori e sindaci democraticamente eletti, siano imprigionati e sotto processo con accuse che violano la libertà di parola e di espressione del pensiero.
I processi si stanno svolgendo in varie città della Turchia e a Diyarbakir (capitale politica dei Curdi), dove nell’ottobre scorso è iniziato quello a carico di 151 esponenti della resistenza civile (eletti delle amministrazioni locali, difensori dei diritti umani, militanti ed attivitsti).
Ricordando che Abdullah Ocalan è da quasi 12 anni detenuto nell’isola-carcere di Imrali, è chiaro che a tutt’oggi appare difficile in tempi brevi una soluzione politica e non militare, quanto meno un’apertura verso maggiore libertà di pensiero e di parola, la fine delle persecuzioni, tantomeno il riconoscimento dell’identità curda. Tuttavia molti osservatori ritengono il 2011 sarà un anno molto importante, un anno di aperture e di dialogo.
Lo svolgimento delle prossime elezioni politiche, fissate per il 12 giugno 2011, sarà un momento importantissimo. I Curdi chiedono che avvengano senza brogli ed intimidazioni nei confornti della loro parte politica già privata di un enorme numero di dirigenti e militanti, costretti nelle prigioni. Il risultato di queste elezioni sarà determinante per la politica turca nei confronti della soluzione della questione curda.
Si affermeranno partiti che non vedano soltanto come possibile la soluzione di tipo militare?
Libere elezioni o no, ogni 21 marzo, i Curdi festeggiano il Newroz. Per antica tradizione persiana e ormai mediorientale, è una festa di primavera, ma questo momento è diventato per i curdi il simbolo più importante della liberazione, dell’orgoglio identitario, nonché l’occasione per milioni di persone di gridare le richieste di pace, democrazia, diritti e libertà. Tutto questo avviene con l’esibizione di costumi tradizionali, musiche e danze, e ovviamente con forti discorsi politici.
Il Newroz è stato in passato duramente represso ed è ancora decisamente osteggiato. Non per niente, ogni anno diversi osservatori occidentali si recano nelle città e nei villaggi dove si tiene questa festa molto sentita, a partire ovviamente dalla “capitale” del Kurdistan, Diyarbakır.
Il newroz del 2009 di cui riproponiamo le foto è stato uno dei più importanti, avvenuto in un momento ricco di speranze per le elezioni che si tenevano in marzo, conclusesi pochi giorni prima.
In un percorso che è partito da Hasankeyf (foto 1-10), un villaggio di origine ittita sito sul fiume Tigri, che verrà sommerso a causa della costruzione della diga di Ilisu, abitato oggi da una popolazione curda che ovviamente lega la difesa del territorio a quella della propria identità etnica (foto 1, 7 e 8, incontro con la delegazione per al difesa dell’acqua), fino ai villaggi di frontiera più “caldi”, Cizre, Idil, Dargeçit (foto 14-35), visitati nei giorni del Newroz (20-21 marzo), passando per Diyarbakır (foto 11-13), la presenza delle bandiere del Partito Democratico, quando ancora era legalmente autorizzato a rappresentare i Curdi in parlamento, era impressionante.
La “politicizzazione” dei giovani Curdi è un’altra delle cose che colpisce di più, a partire dai bambini che forse come in un gioco vedi innalzare le bandiere gialle e ostentare il fin troppo usato segno di vittoria, fino ai giovani che, in particolare a Diyarbakır, chiedono insistentemente quale sia la posizione dell’Europa verso il popolo curdo. La “questione curda” è una cosa di cui non si parla pubblicamente ma che in questi territori è sulla bocca di tutti, dalla guida turistica che con grande semplicità ti racconta di come la discriminazione culturale le renda il lavoro molto più difficle, al giovane bancario curdo che a Midyat mi risolve sorridente i problemi col bancomat, facendomi anche capire a chiare lettere che chi ha un buon lavoro e condizioni di vita agiate, è meno incline a difendere a tutti i costi la propria identità d’origine.
Non così serena è l’atmosfera a Dargeçit (foto 14-22), uno dei villaggi più poveri del Kurdistan dove l’ostilità delle persone, cui sono negati scuole, infrastrutture, lavoro, insomma il futuro, si respira palesemente. Non un osservatore in questo villaggio, ma una grande presenza militare, impressionante, un vero cordone di sicurezza che circonda l’intera piazza e i tetti circostanti.
E’ davvero molto forte la componente politica di questo Newroz, molto di più di quanto si vede invece a Idil (foto 23-35), una cittadina assai più ricca in cui metà della popolazione parla tedesco, il sindaco stesso, di massimo 40 anni (foto 24) – esempio chiaro di una generazione fortemente europeizzata – che durante un momento di grande allegria collettiva mi invita a proseguire con loro la festa durante la notte. Ci sono moltissimi migranti che sono lì per il Newroz, per la gran parte residenti appunto in Germania o Svizzera, molti anche gli ex migranti, tornati a vivere a casa per costruire un luogo che pur nella sua approssimazione urbanistica – una sorta di grande cantiere tra strade polverose e scheletri di edifici, ma che indica la crescita repentina degli ultimi tempi grazie ai denari riportati dall’Europa – appare ricco di identità e molto più europeo di tante altre parti della Turchia. I Curdi che hano vissuto in Europa hanno una visione molto più laica delle cose, e non rinunciano alla possibilità di esibire i loro costumi, le tradizioni, i canti e i balli, ma forse rinunciano alla forte contestazione politica che si respira in altri luoghi.
Molti scontri e contestazioni avvengono soprattutto nella capitale Diyarbakır, ma ogni anno è diverso, talvolta sono questi luoghi frontalieri, dove gli osservatori non arrivano sempre, a registrare i momenti più duri ma senza che questo finisca sui giornali.
Oltre i Curdi, di cui in qualche modo tutti abbiamo almeno sentito parlare, questa terra è abitate da tante altre minoranze assai meno conosciute, i cristiano-aramaici, per esempio, la cui comunità ormai decimata sopravvive in un territorio ostile, conteso tra le milizie del PKK e presidi militari, che non è stato per niente facile superare e che praticamente isolano un territorio grande come una provincia dal resto del paese. Oppure ci sono gli Armeni di Turchia, il cui destino, a partire dalla strage del loro popolo nel secolo scorso, è passato in sordina nei libri di storia (vd. foto 11-13, commemorazione dell’eccidio degli Armeni). Sono vicende che ovviamente non possiamo raccontare qui ma che danno la misura di come la risposta anche alla questione dei Curdi vada cercata nella riscoperta delle tante identità di questo enorme paese-continente, la cui tendenza a nazionalizzare e accentrare è palesemente contraria alla realtà storica in cui si è formato.
Marco Palladino/S4C
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Although in Turkey the Kurds represent almost a third of the population, the Turkish Constitution still does not recognize the existence of cultures, languages and peoples other than those of the Turkish majority. For many years, the Newroz celebration was bloodily repressed and to this day its celebration is strongly opposed by Ankara.
After the 2009 elections, the great success of the Democratic Party (DTP, then banned 11th December of that same year) was met with sever Turkish repression. Today thousands of political prisoners are held in Turkish prisons – it is estimated that at least two thousand intellectuals, human rights defenders, trade unionists, activists, administrators and democratically elected mayors, are imprisoned and on trial with charges that violate the right to freedom of speech and expression.
Trials take place in different cities across Turkey, amongst which Diyarbakir, where last October a trial against 151 representatives of the civil resistance (elected local administrators, human rights defenders, activists) began.
Considering that the political leader Abdullah Ocalan has been detained for nearly 12 years on the island-prison Imrali, it is clear that a political, non-military, solution is unlikely in the near future. Just as unlikely as an increase in freedom of expression or freedom of thought. An end to the persecution and the recognition of the Kurdish identity seems even further away. Nevertheless, many observers believe 2011 will prove to be a very important year, a year of dialogue and opportunity.
The next general elections, set for June 12, 2011, will be a very important moment. Kurds ask that these take place without fraud or intimidation towards their political parties, already deprived of a huge number of leaders and activists which find themselves locked up in prison. The result of these elections will play a crucial part in the formulation of Turkish policy towards the solution of the Kurdish question, hopefully this will involve more than just a military solution.
Every year on the 21st March the Kurdish people celebrate Newroz. This is a Spring festival of ancient Persian origin, today a Middle Eastern tradition, that has become the symbol of liberation and ethnic pride for the Kurdish minority. It is also an opportunity for millions of people to shout out for peace, democracy, human rights and freedom. Newroz is a time to exhibit traditional costumes, music and dances, and of course to hold deep and meaningful political speeches.
Newroz was severely repressed in the past and is still strongly opposed. Thus, not surprisingly, each year several Western observers travel to the towns and villages where Newroz is held, starting, obviously, with Diyarbakır, the “capital” of Kurdistan.
The Newroz of 2009 we are presenting here, was one of the most important, it took place in a period full of high hopes, just after the March elections, which had been held a few days earlier.
My journey started in Hasankeyf (img. 1-10) – a village of Hittite origins situated by the River Tigris, which will be submerged due to the construction of the Ilisu Dam. It is today inhabited by Kurdish people that clearly tie the defence of their homeland to that of their ethnic identity (img 1,7,8: Kurds welcome the European ONG’s for the defense of water resources). My journey ended at the border villages of Cizre, Idil, Dargeçit (img 11-35), which I visited during Newroz (20-21 March) after passing by Diyarbakır (img11-13). Here the presence of the Democratic Party’s flag, the only flag legally authorized to represent the Kurds in parliament a that time, was impressive.
The “politicization” of young Kurds is another thing that really springs to the eye, this goes from young children who raise the yellow flag and show-off the nearly over-used gesture of victory as if it were a game, to youngsters, especially in Diyarbakır, who incessantly ask you what Europe’s position is regarding the Kurdish people. The “Kurdish question” is something that nobody talks about publicly, nevertheless in these areas it really is on everyone’s lips: from the travel guide who will quite simply explain how cultural discrimination makes her work more difficult, to the young Kurdish banker in Midyat, who, whilst he smilingly resolves my credit-card issues, makes it very clear that those who have a good job and better living standards are less inclined to defend their ethnical identity at all costs.
The situation is very different in Dargeçit (img 14-22), one of Kurdistan’s poorest villages, where you can literally breath people’s hostility. These people have been denied schooling, infrastructure and jobs, in short: their future. There are no observers here in this village, but rather a large impressive military presence in the form of a security belt that surrounds the entire square and nearby rooftops.
Here the political aspect of Newroz is very strong, more so than in Idil (img 23-35), a much richer town where half the population speaks German – a clear example of what can be considered a highly Europeanized generation. In a moment of collective joy the Mayor himself, who is 40 years max, invites me to join them in the celebrations that go on throughout the night.
Most people here are migrants, now resident in Germany or Switzerland, who have returned to celebrate Newroz. However, many are also former migrants who have decided to return home in order to build a better place.
Despite its chaotic urban planning – it resembles a sort of large construction site made of dusty roads and the skeletons of unfinished buildings, indication of the rapid growth experienced in recent times thanks to remittance money coming from those in Europe – this town is rich in cultural identity and much more European than many other places in Turkey.
The Kurds who have lived in Europe seem to have a more secular way of looking at things, and, whilst they happily exhibit their customs, traditions, songs and dances, they seem to have given up on the political protests that you can sense so clearly in the other villages of Kurdistan.
Many riots take place in Diyarbakir, the “capital”, but every year is different, sometimes the hottest places are found right by the borders, where observers don’t always go, and so often these events aren’t covered by the papers.
Besides the Kurdish population, of whom everyone has heard in one way or another, this territory is also the home of many other minorities who remain almost unknown, such as the Aramaic Christians, whose communities have been all but destroyed and today are just about surviving in what can only be considered hostile territory – between armed Kurdish militia and military garrisons that struggle for control, a hard to reach community living in an area as large as a province that has been completely isolated from the rest of the country.
A further example is that of Turkey’s Armenians – massacred during the last century but practically ignored by most history books (See the commemoration of Armenians’ slaughter, img 11-14).
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Sadly these are stories that we cannot tell here, but they help us understand the importance of linking the answers to the Kurdish question to the re-discovery of the many forgotten identities present in this huge country, a country that tends to centralize and nationalize everything despite its historic origins being everything but that!
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