Borovliany e i bambini di Chernobyl

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Non è facile parlare di disastri nucleari proprio in questi giorni, durante una catastrofe come quella giapponese. Giorni in cui si riaccende, prevedibilmente, il dibattito internazionale sui rischi del nucleare e le conseguenze di possibili incidenti.

In questi giorni si parla tanto di Chernobyl e su quanto quella tragedia abbia impattato sulla vita degli abitanti di un’enorme zona geografica circostante. Se ne parla tanto, ed è un bene, perchè la memoria serve per impostare meglio il futuro. Ed è anche per questo che oggi Valerio Contini (cui diamo il benvenuto in Shoot4Change)  la storia di un ospedale oncologico pediatrico di Minsk. Per ricordare chi erano (anzi, chi sono) i…bambini di Chernobyl. Antonio Amendola

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Sono le 9 del mattino. Ci siamo sentiti la sera prima per fissare l’appuntamento all’ingresso del Centro Oncologico Pediatrico di Borovliany nella periferia di Minsk. Fa davvero tanto freddo, la neve è alta e arrivo in ritardo e con difficoltà. All’ingresso del centro vengo accolto dalla mamma di Anghelina che mi accompagna in una sala dove rimaniamo in attesa del nostro turno. Oggi dovrà fare un controllo di routine e attendere i risultati degli esami precedenti che diranno se potrà interrompere la chemioterapia.

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Anghelina non sorride mai, parla poco e non vuole che nessuno la tratti e la consideri malata. La mamma mi racconta di quando, dopo uno dei primi ricoveri, alla proposta dei dottori di usare la sedia a rotelle per gli spostamenti lei aveva risposto stizzita che non era malata e che quindi su quella cosa non ci si sarebbe mai seduta.

Appena ha inizio l’esame, oggi, per la prima volta, ritorna bambina e piange.

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Borovliany è un centro all’avanguardia nella cura dei tumori. Le famiglie arrivano da ogni angolo della Russia: Ucraina, Kazakistan, Tagikistan. Tutte famiglie con al seguito bambini affetti dalla stessa malattia: tumore.

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La psicologa del centro, che mi fa da guida, mi presenta ad un dottore. La domanda  è d’obbligo: “Ci sono collegamenti tra il disastro di Chernobyl e le patologie tumorali?”

La risposta è tanto ovvia quanto la domanda: “Ufficiosamente, Si. Ma nessuno te lo metterà mai per iscritto”

L’argomento Chernobyl è ancora molto controverso. Secondo le stime ufficiali (Chernobyl Forum) il bilancio delle vittime accertate risulta essere di  65  persone più circa 4000 vittime presunte  per leucemie e tumori su un arco di 80 anni.

Le controstime invece indicano in circa 270.000 vittime direttamente riconducibili al disastro.

Ci sono bambini a cui il governo ha fornito un documento che attesta l’appartenenza al gruppo di “vittime” del disastro nucleare. E’ una specie di lasciapassare che da diritto a non pagare i mezzi pubblici, a ricevere sconti per l’acquisto di prima necessità e altre agevolazioni.

Altri invece, a cui, per questioni burocratiche, queste agevolazioni sono state negate.

Parto la mattina molto presto, la mia destinazione è il villaggio di Sharaghy. Non so nulla se non che la famiglia mi aspetta per farmi conoscere Vitaly.

Il viaggio è disastroso, si passa attraverso piccole case di legno quasi completamente abbandonate nascoste tra la neve e il ghiaccio.

La mamma di Vitaly è estremamente gentile, ci invita a mangiare una zuppa. Pretende ci si rilassi prima di ogni altra cosa.

Vitaly non parla, sta seduto su un divano nell’unica stanza della casa con lo sguardo fisso nel vuoto. La televisione è rotta, così come la radio.

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La mamma ci racconta della sua storia. Vitaly è Ucraino. Quando era piccolo andava nella regione di Gomel (la più colpita dalle radiazioni) per passare le vacanze a casa della nonna.

E’ sempre stato un ragazzo normale, sano come tutti. All’età di 14 anni ha cominciato ad avere i primi problemi. La diagnosi è impietosa:  Anemia aplasita severa.

Il governo, per un ingorgo burocratico, gli ha negato lo status di “bambino di Chernobyl”.

E’ tardi. Mi lascio il villaggio alle spalle e con lui Vitaly seduto sul divano, lo sguardo perduto nel vuoto.

Valerio Contini/S4C

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Borovliany

(story by Valerio Contini)

It’s  9 am. We talked the night before to schedule an appointment at the Borovliany Center for Pediatric Oncology in the outskirts of Minsk.

It’s really very cold, the snow is high and I arrive late and with difficulty. At the entrance of the center I’m welcomed by Anghelina’s mother  that takes me into a room where we wait our turn.

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Today she’ll do a routine check and wait for the results of previous examinations that will determine whether she can stop the chemotherapy.

Anghelina never smiles, nor she talks much. She does not want anyone to threat her as a sick one.Her  mother tells me that when, after one of her  first hospitalization, the doctors proposed to use a wheelchair  she replied angrily that she was not ill and that she would never sit on that “thing”.
As soon as the exam begins, today for the first time, she turns again in a kid and start crying.

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Borovliany is a leading center in cancer treatment. The families come from every corner of Russia, Ukraine, Kazakhstan, Tajikistan. They are all families with children with the same disease: cancer.
My guide, the psychologist of the center, introduces me to a doctor. My question is obvious: “Are there links between the disaster of Chernobyl and their cancer?”
The answer is as obvious as the question: “Unofficially, yes. But nobody will ever put it in writing”.

Chernobyl is still a very controversial topic. According to official estimates (Chernobyl Forum) the death tollis  of 65 people and  about 4000 alleged victims of leukemia and cancer over a period of 80 years.
Unofficial estimates, instead,indicate approximately 270,000 deaths directly linkable to the disaster.

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There are children whom the Government has provided a document showing their belonging to  the group of “victims” of the nuclear disaster. It’s a kind of pass that entitles you not to pay public transport, to receive discounts for basic necessities and other facilities.
But there are others to whom  these benefits were denied for bureaucratic reasons.

I leave very early in the morning: my destination is the village of Sharaghy. I know nothing except that the family is waiting for me to introduce me to Vitaly.
The trip is a disaster, passing through small wooden houses almost completely abandoned and hidden in the snow and ice.
Vitaly’s mom is very nice; she invites us to eat a soup. She expects us to relax before everything else.

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Vitaly does not speak, he sits on a couch in the only room in the house with his eyes staring at nothing. The television is broken, as well as the radio.
Hi mother tells me his story. Vitaly is Ukrainian. When he was young he used to spend his holidays in  Gomel region (the most affected by radiation) at his grandmother’s house.
He  always was a normal and healthy kid. At the age of 14 he started having the first problems. The diagnosis wasmerciless: severe aplastic anemia.
The Government, for a bureaucratic gridlock, has denied him the status of “children of Chernobyl”.
It ‘s late. I leave behind me  the village and Vitaly, sitting on the sofa, gazing into emptyness.

Valerio Contini/S4C

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There are 5 comments

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  1. Piero Annoni

    Grazie per il tuo magnifico contributo fotografico. Mi chiedo ed immagino quanto sia difficile controllare le proprie emozioni lavorando sul campo con bambini tanto sfortunati.

  2. Cesko2cesko

    Scrivere ” Le famiglie arrivano da ogni angolo della Russia: Ucraina, Kazakistan, Tagikistan” è come scrivere “Le famiglie arrivano da ogni angolo dell’Italia: Francia, Slovacchia, Lussemburgo”.

  3. Laura

    Perchè i governi sono quasi sempre sordi, ciechi, insensibili nei confronti dei loro popoli? Eppure i popoli li scelgono perchè lavorino per loro e non per le lobbies industriali, le multinazionali, gli oligarchi.

  4. roberto

    Complimenti per l’ottimo lavoro. Credo possa essere stimolante per le famiglie che ospitano i “bambini di Chernobyl”: fortunatamente li vedono arrivare in Italia sani e grazie alla loro ospitalità possono dare una speranza di vita. Vedendo queste immagini ed il racconto ci si rende conto del pericolo derivante dal nemico invisibile: le radiazioni.
    Grazie


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