Paris 2011, International Students Movement

Parigi – 11, 12 e 13 febbraio 2011

Struggles against Austerity (testo: Lorenzo Mainini, foto: Martina Cirese)

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“Per una nuova Europa”

Struggles against Austerity

Forse attratti dal richiamo fascinoso e antico d’un’assemblea universitaria a Parigi, studenti e precari della conoscenza si sono incontrati e hanno discusso per tre giorni tra i boulevards di Saint-Michel, Montparnasse e il capolinea del metrò 13, Saint-Denis Université.

A leggere il breve documento stilato alla fine dei lavori, si avrà l’impressione che ad essersi riunita per tre giorni nella capitale francese fosse una nuova internazionale alla ricerca d’un’ideologia, magari anche solo un pensiero, capace d’unire le differenti esperienze d’opposizione allo smantellamento del sistema pubblico e libero dei saperi.

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La prima giornata s’è svolta nel tempio parigino degli studi umanistici e sociologici, l’Ecole des Hautes Etueds en Sciences Sociales, e più precisamente nell’anfiteatro François Furet. L’aula dedicata allo storico che spazzò via le ipoteche marxiste dalla Rivoluzione francese, come in un paradosso, è stata colmata da un nuovo spirito giacobino e radicale, une société de libre pensée.

Le gradinate dell’anfiteatro si sono riempite di studenti venuti da ogni parte del mondo a rivendicare il carattere liberatorio e democratico della conoscenza, la sua natura di ascensore sociale, messa oggi in dubbio da politiche europee e globali tese alla svalutazione del welfare e dei sistemi educativi.

L’assemblea di Parigi ha dimostrato, tra le altre cose, un inedito ma prevedibile risvolto della globalizzazione: politiche europee, se non mondiali, producono un’opposizione ugualmente europea, se non mondiale. E così, uno dopo l’altro, hanno preso la parola i responsabili italiani del network EduFactory, che ha indetto l’incontro, gli altri convenuti italiani, gli studenti francesi, gli inglesi che hanno lottato contro l’innalzamento delle tasse universitarie, finendo per turbare la passeggiata in macchina del Principe di Galles e consorte, rappresentanti tedeschi, gli statunitensi già abituati da secoli ad un sistema universitario privato, una studentessa canadese, dei giapponesi, un turco, iraniani, gli studenti russi e poi molti sudamericani, i più risoluti e pragmatici olandesi, molti spagnoli, tutti portatori d’un’insofferenza e fiduciosi che un’opposizione globale possa dar loro maggior possibilità d’azione politica.

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Mentre l’anfiteatro François Furet è nel pieno delle sue discussioni, l’Egitto si rivolta e gli occhi degli studenti in assemblea sono attenti, e forse anche un po’ ansiosi, giacché in molti credono, o vogliono credere, che le loro lotte possano gemellarsi con quelle del nord Africa. I computer e gli iPhone, tra le file di sedie e sulla cattedra degli oratori, tengono aggiornati i partecipanti su quanto avviene, e alla notizia d’una probabile destituzione di Mubarak l’assemblea esulta e si lancia in uno scroscio d’applausi.

Il primo giorno di lavori si chiude quando ormai Boulevard Raspail è buio e gli studenti riprendono i loro zaini per sparpagliarsi in una Parigi nella quale ogni tavolino di bar offre vino e la possibilità di continuare a discutere. Per la notte sono stati organizzati luoghi d’accoglienza nella Cité universitaire, a sud della capitale francese, e sulle lavagne campeggiano scritte in inglese, lingua franca del movimento, che spiegano come arrivare, dove mangiare, chi chiamare in casi d’emergenza, in definitiva offrono agli studenti convenuti l’impressione di far parte di qualcosa, che intorno a loro ci sia un gruppo, un’anima che li eccita politicamente e a sera li sfama.

Tutt’altra è la scenografia della seconda e della terza giornata. Si passa da una Parigi centrale e pendici di Sainte Geneviève, ad una più dismessa, suburbana e forse per questo ancor più rappresentativa della marginalità nella quale si muove quest’assemblea.

Sono le dieci di mattina del 12 febbraio e i cancelli d’un casermone si aprono agli studenti. È l’università di Paris-Saint Denis.

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A pochi passi sono sepolti i re di Francia, esaltati dalle cripte gotiche, poi profanati dai rivoluzionari dell’89 e infine restituiti al loro regale sonno dai Borbone. Gli studenti s’aggirano invece tra i padiglioni d’università moderna, fatta di lunghi edifici a vetri, aiuole e tettoie che riparano da una pioggia leggera.

Nell’atrio l’accampamento degli studenti è iniziato: sacchi a pelo negli angoli, banchi divenuti all’occasione tavoli per la colazione, teiere, caffè e videocamere, fotografie, cartelli che informano su come e dove si svolgerà la giornata. Non più assemblee generali, ma gruppi di studi e workshop, tavole rotonde, dove la discussione si libera dagli obblighi più formali per concentrarsi invece sui problemi, sulle strategie, sulle differenze da abbattere per dare vita ad un movimento comune, europeo, anzi internazionale, a cavallo degli oceani. Si discute in piccole aule di welfare, d’educazione, di politiche dell’austerità che colpiscono università e conoscenza.

Non sempre ci si capisce, ma il tavolo non viene mai abbandonato, perché a tener lì quegli studenti, pur così diversi, c’è la visibile volontà di confederarsi. Mentre dentro si discute, fuori qualcuno dà vita ad improvvisate performance o bada ad un bambino di pochi mesi che i genitori si sono portati appresso in queste giornate parigine.

Il culmine dalla tre giorni è la mattina del 13, quando si riunisce l’assemblea generale e conclusiva. L’aula è grande e scende in picchiata verso la cattedra: gli studenti, come sempre, s’affollano e puntano gli occhi in basso dove i primi rappresentanti stanno per aprire i lavori. La mattinata è decisiva, si vedrà se l’incontro è servito e se è possibile dare un nome, una faccia, alla gente che si è riunita a Parigi. L’aula magna appare visibilmente emozionata per quelle ultime ore da passare insieme e forse, proprio uno stato d’animo teso ma felice, fa dire di sì: l’assemblea vuole costituirsi in movimento, vuole che la tutela dell’università e la stabilità esistenziale di chi lavora per la conoscenza sia un’impresa globale.

Si susseguono le proposte, si cerca un nome e se ne ipotizzano molti, sigle, simboli e acronimi. Vince la semplicità: “International Student Movement”.

Alla fine l’assemblea delibera tre giorni di mobilitazione internazionale il 24, 25 e il 26 marzo e un nuovo incontro in primavera a Londra.

Questa è la storia di un’idea, messa in piedi in tre giorni d’inverno parigino, per capire quanto quest’idea saprà farsi politica attiva ed essere una cosa vera bisogna tuttavia aspettare, come sempre, che la primavera scaldi gli animi.

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