Pilastro Sociale

Mostra collettiva del workshop di fotografia sociale di Giulio Di Meo

(foto di Nicola Sacco/S4C)

Conoscere per fotografare. Fotografare per conoscere. È di certo questa prima frase a costituire il filo conduttore del lavoro a più mani esposto nell’ambito della mostra frutto di un lungo lavoro che si è sviluppato dal workshop di fotografia sociale condotto dal fotografo Giulio Di Meo.

Il corso è stato frequentato da una decina di persone di varie età e con esperienze fotografiche eterogenee tra loro. Durante le lezioni si è sviluppata un’ampia panoramica approfondita da momenti di dibattito su cosa si intenda reportage e la fotografia sociale.

Giulio Di Meo ha voluto trasmettere ai suoi allievi il concetto di “fotografia sociale” interpretando la fotografia come necessità di una sensibilità, di un’etica, di un impegno particolare.

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Una fotografia che lui stesso afferma come “desiderosa di farsi carico delle lotte, della rabbia, indignazione ma anche di amore, passione, speranza; una fotografia impregnata da un’intensa umanità.

La “fotografia sociale” quindi vuole essere una sorta di ricerca antropologica dove il fotografo viene immerso nel contesto che lo circonda, dovendosi inserire in tale realtà senza creare ulteriori difficoltà. Il contesto questa volta è stato il Pilastro, quartiere della periferia bolognese sorto negli anni sessanta con la costruzione di numerosi condomini di edilizia pubblica.

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E qui vivono tante persone che dal sud Italia sono arrivate a Bologna nell’epoca del boom economico per cercare un lavoro.

Oggi si mescolano a queste persone molti stranieri, protagonisti di esperienze simili, ma ogni volta uniche e singolari. Si amalgamano così vite diverse che creano un melting pot di culture e usanze provenienti da differenti luoghi del mondo. Ogni persona è lo specchio di percorsi differenti e condivide ora un presente comune. La vita si tocca, si vede e si percepisce nella quotidianità delle strade e dei parchi.

Come il prato del parco Pasolini è punto di incontro di molti ragazzi che si incontrano qui, così dietro il “virgolone”, enorme edificio costituita da molti appartamenti e diversi piani, gli anziani lavorano gli orti comunali, riposano e giocano a carte seduti sulle panchine.

“Pilastro” significa anche tenacia, costanza, fatica, e naturalmente credere nei propri mezzi e nell’energia che si respira quando ci si mette in gioco.

Qui la palestra di Boxe e Muay Thaibriunisce i giovani che passano i loro pomeriggi sognando di diventare dei campioni. Il Pilastro è anche sport, quello vero, che parte dal basso e nasce dalla passione. Una passione che unisce.

Ed ecco le persone che ci hanno permesso di rappresentare qualche istante della loro vita.

Queste fotografie vogliono gettare uno sguardo sulla realtà del Pilastro e svelare cosa significhi farne parte. Vogliono aiutare a leggere oltre i confini di un quartiere che erroneamente viene etichettato come periferico, degradato e come luogo di disagio sociale.

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In questo racconto potreste scoprire una realtà diversa, non inquinata da pregiudizi e luoghi comuni. Una realtà che ci ha affascinato e sorpreso.

Provateci, forse ne rimarrete colpiti.

Espongono: Roberto Brandoli, Filippo Carnevali, Lorenzo Ciancaglini, Sabrina Flocco, Laura

Luppi, Enrico Migotto, Eleonora Minler, Nicola Sacco, Alessia Scarpa, Alberto Sola e Emanuele

Vesentini.




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