WELCOME TO ITALY (di Claudia Rocchini)
Ricevo da Claudia Rocchini (in S4C fin dai suoi inizi) una segnalazione che molto volentieri pubblico, anche se non contiene elementi fotografici. Ritengo, comunque, che la descrizione sia sicuramente molto “fotografica” ed il contenuto – deplorevole nel messaggio – meriti assolutamente di essere divulgato.
AA
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“Quanto segue è il racconto di quanto mi è capitato stasera. Non ho immagini con cui illustrarlo, nonostante avessi la macchina fotografica con me, è uno di quei casi in cui l’etica personale prevale sull’istinto fotografico.
Non si tratta dunque di un Shoot for Change, ma di un Write for Change, sicura che Antonio mi perdonerà l’off topic.
Grazie per l’attenzione,
Claudia Rocchini”
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Welcome to Italy
Stasera sono stata pesantemente cazziata: “Quando si vede uno a terra sanguinante e palesemente ubriaco, la prima cosa che si fa è chiamare il 118, non il 113″.
Così disse la solitaespertadei5minutidopo mentre eravamo in attesa delle sirene.
Ma non volevo parlare di questo.
E’ che non sono abituata a scene di pestaggio urbano: io stavo solamente tornandomene a casa dal lavoro, quando a uno stop mi cade l’occhio e vedo questo ragazzo steso a terra, con la schiena appoggiata al pilone del ponte di Corsico, e con la testa barcollante: sembrava il solito ubriaco, ma poi mi sono accorta del viso sanguinante, della pozza di sangue a terra e della maglia intrisa.
Cosa si fa in quegli attimi? Non so voi ma a me è venuto istintivo bloccare l’auto, mettere le 4 frecce, e mentre scendevo chiamare il 113 avvisando che era necessaria un’ambulanza, spiegando sommariamente quanto stavo vedendo e dando l’indirizzo.
Poi mi sono diretta verso di lui, notando che nel frattempo si era formata una piccola coda allo stop dietro alla mia auto senza che nessuno si degnasse di scendere ma anzi, tutti ben attenti a passare attorno all’auto per proseguire per gli affari loro.
Complimenti, vedere una donna inginocchiata davanti a un ferito mentre sta palesemente dando soccorso, seppur sotto a un ponte di una tangenziale, e non fermarsi dà veramente da pensare.
Com’è il film? Forse esistono luoghi più degni di altri dove si ritiene “sicuro” prestare soccorso?
Ordinaria indifferenza urbana.
Dico solo che prima che mi raggiungesse qualcuno, ho fatto a tempo a inginocchiarmi, a verificare che respirasse, e a parlargli, per cercare di capire cosa gli fosse successo. Cinque minuti sono passati tutti. Vi assicuro, un tempo lunghissimo in certe circostanze.
Anyway.
Lui era rumeno, biondo, capello corto a spazzola, vestito sportivo, con capi di marca. Per nulla uno sbandato, anzi, decisamente “tirato”: mani con unghie curate, sopracciglia definite, sbarbato.
In un primo momento, in italiano stentato ma comprensibile, ha detto che era stato investito da un’auto, poi si è corretto: “Sono caduto…”. Quando ho replicato “Sì, certo, davanti a un pugno sei caduto…”, ha abbozzato un mezzo sorriso, mettendo in mostra la caverna che aveva in bocca: gli avevano spaccato i denti frontali.
Sul viso aveva tagli profondi, di quelle ferite provocate ritengo da tirapugni d’acciaio, e il naso era palesemente rotto. Il muro dietro lui era sporco di sangue, proprio all’altezza della testa: segno che gliel’avevano sbattuta più volte contro al muro.
Mi sono stupita che fosse ancora lucido e in grado di rispondere alle mie domande.
Nel frattempo qualche curioso si stava avvicinando. Della polizia ancora nessuna traccia: pazzesco, ogni santa sera solo qualche chilometro più avanti, all’imbocco dell’autostrada, trovo minimo 3 pattuglie 3 che fermano gente, ma quando li chiami per un’emergenza, dando loro indirizzo esatto… campa cavallo.
Tutt’attorno le solite frasi: “L’hanno pestato”, “Ma no, è ubriaco”, “Ma cosa dite, è un regolamento di conti, l’avrà menato qualche magnaccia, in questo angolo ci sono sempre le puttane la sera”. E ancora: “Non toccatelo, sanguina”… Ma va?
Il festival delle banalità e dei luoghi comuni.
Poi arriva quella che “Ghè pensi mì, c’ho una farmacia!”. Ah vabbè, allora… prego, si accomodi. Tira fuori la valigetta da pronto soccorso dall’auto, valigetta da cui mancano, nell’ordine: acqua ossigenata, bende e cerotti. Però aveva i guanti e un laccio emostatico, utilissimi nella circostanza…
E’ la stessa che mi ha chiesto chi avevo chiamato, cazziandomi per quanto avevo fatto. Notare che ero stata attenta a non farmi sentire dal ragazzo, ma la volpe ha pensato bene di esternare a voce alta il suo cazziatone: “NON DOVEVA CHIAMARE IL 113, MA IL 118!!!”.
Risultato?
Il ragazzo si è spaventato, alzandosi di scatto e imbrattando di sangue due tipi che cercavano di bloccarlo, poi si è allontanato sotto al ponte, barcollando e palesemente in stato confusionale, ma col cellulare in mano.
“E’ COLPA SUA, SE AVESSE CHIAMATO IL 118 SAREBBERO GIA’ QUA”, continuava a blaterare la gallina.
Beh, ogni pazienza ha un limite. E ogni limite ha la sua pazienza. Stranamente, per me, non ho replicato nulla: forse aveva ragione, forse no, ma i toni e i modi erano comunque irritanti e in altri momenti sarebbero stati sufficienti a farmi scattare in modalità jena.
Stasera no. Non ho più voglia di discutere con gli ignoranti, nemmeno quando mi aggrediscono, e ritenevo futile sottolineare che era stato il suo blaterare a spaventarlo. O forse ero solamente stanca e sconfortata.
Nel frattempo arrivano anche due colleghi che avevo chiamato, volevo avere qualcuno di conosciuto vicino che per quanto fossi apparentemente “padrona” della situazione, beh, non è che stessi molto bene.
Quasi in contemporanea sentiamo le sirene: pareva stesse arrivando l’esercito: tre auto tre dei vigili (…) e un’ambulanza, e subito vanno a caccia del ragazzo, che nel frattempo era salito sul ponte e si era allontanato. Sparendo.
Aveva fatto una telefonata e avvisato alcuni amici che ritengo l’abbiano caricato in auto e portato via.
Provo tanta tristezza, negli occhi ho l’immagine di questo ragazzo che si allontana barcollando sotto al ponte: mi ha fatto tanta tenerezza e chissà che cosa aveva da nascondere per scappare in quel modo, conciato così com’era.
Sarebbe bastato un minimo di attenzione nel parlare, e questo ragazzo ora sarebbe in un ospedale, curato e accudito e magari, chissà, il ricevere attenzioni, il rendersi conto che qualcuno che si prende cura di lui al mondo c’è, lo avrebbe fatto riflettere sul tipo di vita che ritengo conduca e magari a fargli cambiare direzione.
Invece ora sarà chissà dove, col suo naso fracassato, la sua caverna in bocca, i tagli sul viso sbarbato, la sua commozione cerebrale e le sue costole rotte.
Welcome to Italy.
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